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Dalle piante l’esempio per ridurre l’inquinamento

I sistemi di mitigazione dell’inquinamento ambientale tramite l’applicazione di pitture fotocatalitiche fu introdotto in Giappone circa 20 anni fa.
In pratica si tratta di ottenere un effetto di abbattimento dei maggiori agenti inquinanti, organici ed inorganici, mediante l’azione combinata della luce sulle superfici degli edifici che sono pitturate con apposite vernici contenenti biossido di titanio (TiO2). Questi materiali speciali consentono un processo di trasformazione delle sostanze inquinanti presenti nell’aria, riducendole a composti biologicamente inerti, e quindi non più dannosi per l’uomo e l’ambiente. Anche i particolati fini, meglio conosciuti come polveri sottili, subiscono un importante abbattimento, consentendo di ottenere un migliore grado di qualità dell’aria.
L’attività dei materiali fotocatalitici è originata dalla luce che, colpendo la superficie del materiale stesso, attiva le molecole di catalizzatore permettendo l’innesco di reazioni chimiche altrimenti irrealizzabili a temperatura ambiente. I materiali fotocatalitici di interesse edile attivano principalmente reazioni di ossidazione di una grande varietà di composti organici ed inorganici adsorbiti o depositati sulla superficie. Dipendentemente dalle finalità applicative del prodotto sviluppato, le reazioni di ossidazione possono essere utilizzate per rimuovere dall’aria composti inquinanti, come ad esempio gli idrocarburi aromatici (BTEX – Benzene, Toluene, Etilbenzene, Xylene) o gli ossidi di azoto (NOx), per impedire o comunque rallentare il deposito di film organici sulle superfici (che è alla base della formazione di patine scure sui manufatti architettonici esposti all’ambiente urbano) o per disinfettare le superfici da contaminanti biologici quali batteri, funghi e virus.
L’efficacia del processo di disinquinamento dipende da molti fattori, correlati non solo al materiale fotocatalitico ma anche al sito di applicazione ed alle condizioni meteorologiche locali. Situazioni di stagnazione, ad esempio causate da un ridotto movimento di aria e dalla formazione di vortici che favoriscano il ricircolo locale, sono tipicamente presupposti di alti livelli di inquinamento ma tendono anche ad esaltare l’effetto disinquinante delle superfici fotocatalitiche, perché permettono un maggior tempo di residenza dell’aria trattata. Sono situazioni tipicamente meno favorevoli la presenza di vento e di elevati tassi di circolazione e ricambio atmosferico. Queste ultime sono però anche condizioni in cui si riscontra un inquinamento minore dell’aria proprio grazie al ricambio della stessa, e quindi sono situazioni in cui è senz’altro più tollerabile un calo di efficienza dei prodotti foto catalitici.
In Italia la ricerca sull’argomento segue pedissequamente l’esempio giapponese. Nel corso degli ultimi dieci anni, infatti, l’interesse scientifico ed ingegneristico sull’applicazione della fotocatalisi è risultato cresciuto esponenzialmente, molto più che nel resto del mondo. I prodotti fotocatalitici in grado di abbattere l’inquinamento atmosferico sono rientrati nelle “Linee Guida per l’utilizzo di sistemi innovativi finalizzati alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento ambientale” indicate dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio con decreto ministeriale del 1 aprile 2004 in attuazione della legge 16 gennaio 2004 n. 45.
L’elenco dei Sistemi e delle Tecnologie innovative, redatto dal Ministero dell’Ambiente, riporta infatti con il Codice ST001, i materiali fotocatalitici: “malte, pavimentazioni, pitture, intonaci e rivestimenti contenenti sostanze fotocatalitiche con biossido di titanio per la riduzione di ossidi di azoto, VOC, batteri e di altri inquinanti atmosferici”.
Analizzando nel dettaglio questo rivoluzionario processo chimico troviamo che il suo funzionamento ricalca quanto di più semplice esista in natura. La fotocatalisi imita la ben nota fotosintesi clorofilliana nel trasformare le sostanze ritenute dannose per l’uomo. Il processo chimico che sta alla sua base è infatti una ossidazione che si avvia grazie all’azione combinata della luce (solare o artificiale) e dell’aria.
I due elementi, a contatto con il rivestimento delle superfici, favoriscono infatti l’attivazione della reazione e la conseguente decomposizione delle sostanze organiche ed inorganiche (assimilabili a tutte le polveri sottili – PM10), dei microbi, degli ossidi di azoto, degli aromatici policondensati, del benzene, dell’anidride solforosa, del monossido di carbonio, della formaldeide, dell’acetaldeide, del metanolo, dell’etanolo, del benzene, dell’etilbenzene, del mexilene, del monossido e del biossido di azoto. Le sostanze inquinanti e tossiche, vengono trasformate, attraverso il processo di fotocatalisi, in nitrati di sodio (NaNO3), carbonati di sodio (Ca(NO3))2 e calcare (CaCo3), innocui e misurabili in ppb (parti per miliardo). Il risultato è una sensibile riduzione degli inquinanti tossici prodotti dalle automobili, dalle fabbriche, dal riscaldamento domestico e da altre fonti.
La letteratura scientifica negli ultimi anni si è soffermata nell’analizzare l’effettiva validità della fotocatalisi confermando le qualità delle superfici fotocatalizzanti e riuscendo a calcolare la capacità effettiva di riduzione dell’inquinamento in aree urbane, attraverso la simulazione matematica.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) in una relazione tecnica dal titolo “Malte cementizie fotocatalizzate per la riduzione dell’inquinamento atmosferico” fornisce una stima della quantità di sostanze inquinanti che una superficie fotocatalitica è in grado di trasformare, partendo dalla quantità depositata fino alla riduzione per effetto della reazione stessa.
“… una superficie attiva di un metro quadrato potrebbe riuscire a depurare al 90% un metro cubo di aria in 45 secondi. Oppure, 1 Kmq di superficie attiva potrebbe muovere dall’atmosfera ben 32 tonnellate di inquinante per anno. Si tratta di una potenza depurativa molto significativa sotteso che nel corso di un’ora tale depurazione può essere estesa a 3600/45 = 80 mc, ossia un metro quadrato di superficie attiva rimuove il 90% dell’inquinamento contenuto in 80 mc di aria in appena 1 ora… Da questa constatazione nasce l’idea di impiegare il rivestimento per mezzo di malte cementizie fotocatalitiche, ossia malte contenenti composti chimici in grado di reagire molto facilmente con alcuni inquinanti causandone la rimozione per assorbimento diretto. Poiché, ad esempio, nell’area omogenea di Milano si stimano ratei di emissione annui di circa 13.000 t/anno appare evidente che la disponibilità di superfici con fotocatalizzatori potrebbe determinare condizioni particolarmente favorevoli alla rimozione degli ossidi di azoto fino a livelli compatibili con gli standard di qualità dell’aria”.
Analoghe conclusioni sono riportate in alcune ricerche dell’Università di Urbino, in cui si afferma che “…l’impiego di malte cementizie fotocatalitiche, ossia malte contenenti composti chimici in grado di reagire molto facilmente con alcuni inquinanti causandone la rimozione per assorbimento diretto è una applicazione di grande attualità. In questi materiali l’esposizione a radiazioni UltraVioletta (UV a lunghezza d’onda λSecondo le previsioni degli studiosi, questi nuovi materiali consentiranno di raggiungere l’obiettivo di ridurre i livelli di ossidi azoto sotto i 21 ppb entro il 2010. L’Unione Europea ha riconosciuto l’importanza di questa tecnologia e già nel 2001 ha deciso di finanziare un progetto di ricerca che coinvolge le aziende di quattro paesi membri. L’efficacia del principio chimico della fotocatalisi ha ormai superato il livello di test in laboratorio, e la conferma ci viene dalle numerose realizzazioni poste in essere in diverse parti d’Europa; tale presupposto costituisce uno stimolo in più per architetti e progettisti, sempre più sensibili alle tematiche ecologiche, affinché anche l’architettura dia il proprio (doveroso) contributo alla sostenibilità.

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