Scienziati catalani hanno dimostrato che i rifiuti solidi provenienti dal trattamento delle acque reflue possono essere impiegati come combustibile alternativo negli impianti cementizi con lo scopo di ridurre le missioni inquinanti
(Rinnovabili.it) – Ancora una volta viene presa in considerazione l’idea di bruciare liquami per produrre energia, stavolta però, a differenza dell’esperimento britannico, il concetto viene affrontato in una ricerca spagnola, condotta in seno all’Universidad Rovira i Virgili (URV), da un punto di vista completamente differente, ovvero quello dell’impatto ambiante e sulla salute all’interno della produzione cementizia. I cementifici sono inseriti a livello UE tra gli impianti di coincernerimento di rifiuti ad alto potere calorifico, come petcoke, polveri di carbone, farine animali o vernici esauste (la maggior parte classificati come pericolosi), trattandoli sotto il profilo autorizzativo come normali impianti di smaltimento dei rifiuti e facendo dunque molto discutere sui livelli relativi d’inquinamento.
Lo studio realizzato degli scienziati spagnoli confermerebbe ora che i fanghi provenienti dalla depurazione delle acque reflue possono essere impiegati come combustibile negli impianti di produzione del cemento, con risultati notevolmente migliori sotto il profilo delle emissioni dannose.
I ricercatori hanno esaminato per la prima volta questo metodo in un cementificio in Vallcarca (Catalogna), che ha oltre 100 anni di produzione alle spalle, sostituendo fino al 20% di energia prodotta da combustibili fossili con i fanghi e valutando di conseguenza l’impatto sull’ambiente e sulla salute delle persone.
Dal punto di vista economico, gli scienziati non sono in grado di garantire che gli impianti aumentino le prestazioni, ma sottolineano soprattutto il vantaggio sanitario. L’esperimento – a detta degli scienziati – ha portato ad una riduzione 140.000 tonnellate di emissioni di CO2 tra il 2003 e il 2006, e avrà contribuito a limitare le morti potenziali dovute all’esposizione ad agenti chimici inquinanti. I risultati sono stati pubblicati nell’ultimo numero della rivista Environmental Science and Pollution Research