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Conferenza di Bonn: nulla di fatto, delusione e preoccupazioni per Copenhagen

Non sono bastati dodici giorni ai partecipanti del meeting tedesco (tappa considerata molto importante nella preparazione della Conferenza di Copenhagen) per trovare un accordo comune, una piattaforma condivisa per la lotta al “global warming” e al “climate change” dopo il 2012. Quindi nessun accordo sulla riduzione dei gas serra in questo negoziato Onu, anche per lo scarso impegno che i rappresentanti dell’America di Obama sembra abbiano dimostrato.

*Il parere del segretario Unfccc (Onu)*

Yvo de Boer, segretario della “Framework convention on climate change dell’Onu”, solitamente un ottimista ad oltranza, questa volta ammette che a Copenhagen sarà «fisicamente impossibile» raggiungere un accordo per la necessaria riduzione planetaria delle emissioni di gas serra. Per de Boer, non sarà nemmeno possibile ipotizzare un taglio dell’80% entro il 2050, che era l’obiettivo della convention, ma soprattutto è, in termini ambientali, «proprio ciò di cui abbiamo bisogno. Non credo sia possibile, tra oggi e la fine di dicembre, mettere a punto tutti i dettagli di una risposta a lungo termine al cambiamento climatico per il dopo 2012», aggiunge il massimo responsabile del clima per l’Onu.
A de Boer non resta che sperare, a questo punto che almeno «… Copenaghen faccia chiarezza sui principali temi politici in questo dibattito, sulle misure dei paesi industrializzati per ridurre i gas serra e su ciò che i grandi paesi in via di sviluppo sono disposti a fare per ridurre le loro emissioni».

*Il fallimento del negoziato di Bonn*

Il nulla di fatto che si registra dopo l’incontro di Bonn, lancia un’ombra oscura e pessimista anche sull’eventualità che i prossimi appuntamenti, previsti in preparazione della conferenza Copenhagen (7-18 dicembre), possano sortire risultati significativi.
Secondo i programmi si doveva decidere quale strategia globale adottare per la riduzione dei gas serra, dopo quelle previste dal protocollo di Kyoto che coprono fino al 2012. Ma, così stanti le cose, a tutt’oggi mancano le premesse necessarie.
Cosa non ha funzionato a Bonn?
Soprattutto hanno giocato contro i diversi interessi dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo (tra cui Cina e India) che di fatto hanno bloccato le trattative. Ma va registrata anche una deludente partecipazione della delegazione Usa, decisamente meno coinvolta del previsto, almeno rispetto a quanto aveva fatto sperare il nuovo corso del presidente statunitense Obama.
L’obiettivo dell’Europa era noto. Si è già impegnata unilateralmente a tagliare del 20% entro il 2020 le emissioni di gas serra, mettendo in conto di arrivare fino al 30% se altri paesi sviluppati fossero stati concordi con questo target. Una politica lodevole, ma che in un contesto come quello che si è registrato a Bonn non potrà rilvelarsi certo attuabile.

*La posizione del governo italiano*

Non si può certo affermare che l’apporto dell’esecutivo italiano sia stato in qualche modo determinante, i critici più severi lo ritengono addirittura negativo, a causa dei continui sforamenti rispetto agli obiettivi di Kyoto pur firmati e ratificati. Il protocollo ci imponeva un -6,5% entro il 2012, rispetto ai livelli del 1990. Ma questo non si sta verificando e per ora abbiamo collezionato dalla Ue richiami e sanzioni per un totale di 3,6 milioni di euro al giorno. Il picco di incremento delle emissioni climateranti l’abbiamo raggiunto nel 2004 con un +11%, sempre rispetto ai livelli del ’90. Poi negli anni seguenti si è registrato un calo probabilmente a causa di una concomitanza di fattori: inverni poco rigidi, l’aumento del prezzo dell’energia, petrolio in primis, l’inizio della crisi economica e i primi risultati delle politiche di efficienza energetica e di incentivazione delle energie da fonti rinnovabili.

*Il giudizio degli ambientalisti*

Greenpeace International – «Questi paesi non hanno nessuna intenzione di salvare il pianeta dal collasso climatico e agiscono come se la crisi non esistesse, mettendo i loro interessi individuali di breve termine prima dell’emergenza globale».

Amici della terra internazionale – «I paesi industrializzati dovrebbero ridurre del 40% entro il 2020 le emissioni di gas serra». Ma, fa sapere l’associazione, l’amministrazione americana le ridurrà solo del 4% nel 2020 rispetto al 1990, il Giappone ha come obiettivo il taglio massimo dell’8%, la Nuova Zelanda non ha preso nessun impegno, mentre il Canada già prevede un aumento delle emissioni.

Greenpeace, Wwf, Legambiente italiani – «L’Italia faccia la sua parte» è l’appello accorato, quanto, secondo le stesse associazioni inutile, lanciato alla ministra dell’ambiente Stefania Prestigiacomo, all’apertura di Bonn, dalle tre associazioni ambientaliste, perché «il fenomeno dei cambiamenti climatici è in rapida accelerazione e la minaccia di impatti irreversibili è molto più imminente di quello che immaginavamo solo due anni fa».

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