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Climate Change: dal G8 soluzioni virtuali

Dagli otto al G14 ai 17 del Mef, la seconda giornata di summit si allarga ai leader delle potenze emergenti, chiaro riflesso di come i problemi globali abbiano bisogno di soluzioni globali. Ma sul clima l’intesa è solo a metà

“Le politiche di cui hanno parlato fino a questo punto non sono sufficienti”. La stroncatura del segretario generale delle Nazioni Unite, *Ban Ki-moon* colpisce nel segno. Al suo secondo giorno il vertice dei G8 sembra essersi arenato sulle intenzioni senza riuscire a compiere sostanziali passi avanti nel disegno degli obiettivi globali contro la sfida climatica. Di buono c’è che nella giornata di apertura i ‘Grandi’ abbiano concordato per la prima volta l’impegno a ridurre le emissioni del 50% entro il 2050 da aumentare all’80% nelle nazioni industrializzate, anche se con riferimenti temporali piuttosto vaghi (“…rispetto ai livelli degli anni ’90 o più recenti”) e con uno spostamento di scadenze troppo avanti per riflettere l’urgenza d’azione necessaria. Una”ambizione” che non si è riusciti a trasmettere ai leader dei G5, ed in particolare ad India e Cina, arroccate nella loro convinzione che “chi prima ha inquinato prima si impegni” e dunque fuori dall’accordo.
Pechino e Nuova Delhi prima di accettare vincoli e tagli vogliono vedere sul tavolo dei negoziati l’azione dei Paesi sviluppati e adeguati finanziamenti come contributo alle politiche di adattamento intraprese contro i danni del Climate Change. Per il ministro degli Esteri cinese *Ma Daoxu*, facente le veci del presidente Hu Jintao rientrato nella capitale per la gravissima crisi dello Xinjiang, il proprio Paese “ha ancora una lunga via da percorrere sulla strada dell’industrializzazione, urbanizzazione e modernizzazione”, e le condizioni devono obbligatoriamente “essere differenti”.
L’intesa certa a livello globale è dunque, per ora, solo sull’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a due gradi centigradi sopra i livelli preindustriali assumendo così ufficialmente le opinioni scientifiche dell’Iccp (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico).
La dichiarazione sul clima è passata oggi ai Paesi del MEF (Major Economies Forum), riunitisi sotto la presidenza di Obama, che hanno riconfermato solo il consenso in merito al controllo del ‘termometro terrestre’. A fare da punto di raccordo per i 17 (Austria, Brasile, Canada, Cina, Unione Europea, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Messico, Russia, Sudafrica, Gran Bretagna e Stati Uniti) è lo sviluppo di investimenti ‘green’ come sinonimo di recupero economico e ambientale, anche attraverso la sperimentazione di “partnership globali per spingere verso tecnologie a basso contenuto di carbone, amiche del clima”.
Recita la Dichiarazione del MEF: “Noi accresceremo decisivamente e coordineremo gli investimenti pubblici nella ricerca, nello sviluppo e nella presentazione di queste tecnologie, con l’idea di raddoppiare questo tipo di investimenti entro il 2015, al contempo riconoscendo l’importanza degli investimenti privati, della partnership pubblico-privata e della cooperazione internazionale, compresi i centri regionali di innovazione”, focalizzando l’attenzione efficienza energetica, il solare, la tecnologia di CCS, veicoli tecnologici e così via. In tal senso il Premier *Silvio Berlusconi* ha annunciato la creazione di un Istituto globale per la cattura e il sequestro del carbonio con sede in Australia, finanziato annualmente con 100 milioni di dollari e di cui il nostro Paese è fondatore.
Nel cosiddetto “Piano Verde”, dunque, i leader mondiali dichiarano ufficialmente solo di “lavorare insieme da qui alla conferenza Onu sul clima in programma a dicembre a Copenaghen per identificare un obiettivo globale comune di riduzione sostanziale delle emissioni di gas serra entro il 2050”, ma nessun vincolo di riduzione sul breve periodo.

E per Ban tutto ciò non è “abbastanza”.
“Questo è un imperativo politico e morale e una responsabilità storica…per il futuro dell’umanità, anche per il futuro del pianeta Terra” – ha detto il capo dell’Onu – “è molto più importante che si trovi un accordo su quelli che sono gli obiettivi a medio termine” piuttosto che stabilire un impegno nel lontano 2050.
Differente la posizione di *Barack Obama*, soddisfatto del “consenso storico” ottenuto sul clima e ha garantito che la Nazione si assumerà in pieno le proprie responsabilità sul clima aumentando gli sforzi e i fondi, per raggiungere un’economia pulita entro il 2015. “Per la prima volta abbiamo indicato degli obiettivi concreti di riduzione delle emissioni con il limite dei 2 grandi centigradi entro il 2020. Certo molto resta da fare perché questa è una delle sfide più importanti e gravi di questa generazione”. Dal canto suo il presidente americano si ritiene che il count down verso Copenhagen sia ancora lungo e per ridurre il gap con le economie emergenti sul fronte climatico ci sia ancora tempo a disposizione.

Eppure c’è chi è convinto che stando così le cose Paesi industrializzati ed economie emergenti abbiano ancora una strada irta di ostacoli. A parlare è Kim Bering Becker responsabile internazionale sulle questioni climatiche del *Wwf*. “Bisogna uscire dalle posizioni contrapposte che vedono Stati emergenti e nazioni industrializzate aspettare gli uni il primo passo degli altri verso la riduzione delle emissioni di CO2 e dovranno essere i Paesi sviluppati, principali responsabili dell’inquinamento, a fare il primo passo per uscire dall’impasse”. “Certo – osserva il Wwf – qualche progresso è stato fatto, ma i leader delle nazioni industrializzate non hanno ancora fatto il passo sostanziale, per fare la differenza: stabilire con chiarezza l’obiettivo di riduzione delle emissioni a medio termine (2020), assieme a seri, inequivocabili impegni finanziari”.
Critico anche *Greenpeace* per il quale i leader dei Paesi ricchi “hanno fallito”. “Nessuna decisione a proposito di obiettivi vincolanti, e a medio termine, di riduzione delle emissioni di gas serra, e nemmeno un chiaro impegno a investire per combattere cambiamento climatico e deforestazione nei Paesi in via di sviluppo”, spiega l’Associazione secondo cui va data solo agli Otto, e non a India e Cina, la colpa di “aver affossato il negoziato al Mef”.