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Clima: Obama, mezzo passo avanti, ma solo nelle intenzioni

Il presidente Usa non chiude la porta alla Conferenza di Copenhagen, almeno a parole, ma non assume impegni concreti e condivisi, come d'altronde fa anche il presidente cinese

(Rinnovabili.it) – Dopo le critiche degli ambientalisti, dell’Unione Europea e di tutti quelli che credevano che la Conferenza di Copenhagen potesse mettere un punto fermo nella lotta alle emissioni di gas serra, Obama oggi ha fatto un mezzo passo indietro rispetto alle dichiarazione di ieri. Ha infatti auspicato che le trattative a Copenaghen possano giungere ad un “consenso su un nuovo ampio accordo” che abbia “immediato effetto operativo”, anche se non legalmente vincolante.
Insomma si addolcisce la pillola dichiarando che la speranza di fare qualcosa di buono c’è, ma quando si parla di obblighi o scadenze, la posizione rimane immutata, nessun vicolo legale sarà accettato.
Dopo un colloquio con Hu Jintao, il presidente americano ha infatti riferito che i due paesi, che sono i maggiori produttori di CO2 al mondo, assumeranno misure “significative” per ridurre le proprie emissioni. Ma “significative” non significa nulla. Senza nessuno standard fissato, nessun impegno preciso sulle riduzione e sui suoi tempi.
“Il nostro obiettivo non è un accordo parziale o una dichiarazione politica – ha detto Obama – ma piuttosto un accordo che copra tutte le questioni dei negoziati e che abbia immediato effetto operativo”.
Anche qui c’è una contraddizione in termini. Come si fa ad avere degli effetti immediati, se non c’è un programma specifico, delle date di scadenza stabilite, dei limiti concordati su taglio alle emissioni?
L’impressione è che il presidente americano si senta serrato in una tenaglia, da una parte i paesi in via di sviluppo (Cina, India, Brasile, Indonesia…) che tirano a non frenare la crescita delle proprie economie con ingenti investimenti per la riduzione della CO2 e dall’altra il Congresso Usa, soprattutto il Senato, dove la legge sul clima approvata alla Camera, trovi una resistenza non solo tra gli oppositori repubblicani, ma anche nell’ala più moderata dei democratici.