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Ciclo vita e certificazioni: il futuro dei materiali “ecologici”

Sino al XIX secolo i materiali da costruzione erano tutti di origine naturale: pietra, laterizio, legno, argilla cruda o cotta, calce; materiali prevalentemente reperiti in loco le cui caratteristiche o tecniche applicative erano note perché tramandate nel corso della storia. Con la rivoluzione industriale, e soprattutto con l’avvento dell’industria petrolchimica, nell’edilizia sono entrati materiali totalmente nuovi spesso estranei alle consuetudini abitative dell’uomo, trasformando gli edifici in manufatti via via più ricchi di elementi artificiali.
Negli edifici contemporanei l’uso, a volte inconsapevole, di numerose sostanze di sintesi, unitamente alla “sigillatura” degli stessi (strategia errata per attuare la “giusta causa” del risparmio energetico) producono spesso ambienti poco salubri. Infatti l’insufficiente ventilazione e la scarsa traspirabilità dei materiali medesimi, determinano un’elevata potenziale aggressività ambientale interna, legata alle sostanze volatili immesse dai materiali edili, ai vari livelli di sensibilità individuale, alla presenza nell’aria di altre sostanze tossiche e ai loro possibili effetti sinergici.
Inoltre assumendo uno sguardo più “globale” sull’attività edificatoria gli impatti da valutare sono molteplici; infatti gli edifici si servono della metà dei materiali estratti dalla crosta terrestre producendo per la loro costruzione e demolizione circa 450 milioni di tonnellate di rifiuti, cioè più di un quarto del totale.

Negli ultimi anni assistiamo a una crescente sensibilità nei confronti di queste problematiche e, a fronte della domanda, un’offerta crescente che sfrutta l’appeal di termini ad effetto, ma spesso elusivi come: “verde”, “ecologico”, “amico dell’ambiente”, “naturale”, “bio”. Tutto ciò porta a una generale confusione con difficoltà di orientarsi nel mercato, sia per gli utenti sia per i professionisti, che volessero considerare nella scelta dei prodotti la valutazione dei costi ambientali e sociali, oltre che di quelli economici.
In prima analisi, in un approccio edilizio sostenibile i materiali devono essere valutati in maniera sistemica, vale a dire che l’approccio corretto è quello di considerare gli edifici attraverso i costi dell’intero ciclo di vita.

In quest’ottica lo strumento scientificamente elaborato e accettato dalla comunità internazionale è quello della LCA (Life Cycle Assessment, ovvero Valutazione del Ciclo di Vita) descritto e standardizzato nelle norme UNI EN ISO serie 14040 (dalla 40 alla 43).
Una LCA valuta e quantifica i flussi di materia ed energia, in entrata e in uscita, durante tutte le fasi di vita di un prodotto (o processo o servizio). Sinteticamente possiamo schematizzare che l’analisi di un materiale o un prodotto per l’edilizia considera le fasi di:

• reperimento delle materie prime;
• ciclo di produzione;
• costruzione, installazione e messa in opera;
• utilizzo e manutenzione;
• dismissione (riuso, riciclo o scarto).

Lo strumento della LCA è alla base dei sistemi volontari di etichettatura ecologica o di asserzioni ambientali (environmental claim) che ottengono sempre più rapido consenso e diffusione. Tali etichettature possono avere lo scopo primario di veicolare un’informazione dal produttore al consumatore o anche all’intermediario professionista, con l’obiettivo di fornire prodotti con minor impatto, comunicando informazioni verificabili sugli aspetti ambientali diretti e indiretti di beni e servizi.
In questo senso sono stati identificati e regolamentati tre diversi tipi di dichiarazioni:

• Etichette di tipo I (vedi ISO 14024): sono basate su una serie di criteri ambientali il cui rispetto è stato verificato e validato da una terza parte ossia da un organismo esterno all’impresa che conduce le verifiche secondo procedure stabilite. L’organismo terzo certifica che l’impresa ha raggiunto requisiti ambientali di “livello superiore” cioè maggiori rispetto a quanto faceva in precedenza o rispetto gli altri produttori. Fra questi abbiamo: Ecolabel, Der Blaue Engel, NF Environment, etc.

• Etichette di tipo II (vedi ISO 14021): si tratta di asserzioni ambientali basate su autodichiarazioni del fabbricante, senza l’intervento di alcun organismo certificatore. Sostanzialmente si tratta di operazioni di marketing pubblicitario, benché la norma preveda dei vincoli sui contenuti e sulla diffusione dell’informazione.

• Etichette di tipo III (vedi ISO 14025): sono quelle che quantificano i potenziali impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto. Sono quelle propriamente definite come “Dichiarazioni Ambientali di Prodotto” (EPD, Environmental Product Declaration) che valutano gli impatti in conformità con delle specifiche e li presentano in forma facilmente confrontabile per prodotti dello stesso gruppo o categoria. Il Sistema EPD è nato in Svezia, ma vede un ampio coinvolgimento di organizzazioni da tutto il mondo, nello sforzo congiunto di definire un vero e proprio regolamento internazionale.

Altri marchi ambientali di tipo privato e settoriale, non rientranti nella suddetta classificazione, si sono imposti all’attenzione del mercato per la loro autorevolezza ed esplicitano l’impegno al miglioramento di parametri ambientali, riconducibili a specifiche attività e prodotti. Ad esempio:

• l’Energy Star, sui prodotti elettrici/elettronici a risparmio energetico in fase di utilizzo;

• il Forest Stewardship Council, per la gestione sostenibile (ambientalmente, economicamente e socialmente) delle foreste;

• l’Impatto Zero di Lifegate, che compensa le emissioni di CO2 di prodotti, aziende e attività, con la tutela e la riqualificazione di foreste in crescita.

Per ciò che concerne specificamente i materiali da costruzione si possono citare:

• la certificazione per la bioedilizia, nata in Italia nel 2004 con l’accordo tra ICEA e ANAB, il cui sistema si fonda sull’indipendenza e la separazione dei ruoli, che affida ad ANAB il compito di redazione e aggiornamento delle norme per i materiali e i sistemi edilizi, secondo i principi dell’architettura sostenibile; e ad ICEA quello di certificare;

• simili corrispettivi nelle altre nazioni: Natureplus in Germania, IBO in Austria, etc.

Tuttavia nonostante la grande potenzialità, il settore delle costruzioni risulta essere quello in cui l’uso della LCA ha grande difficoltà nell’affermarsi, per via della vastità delle discipline interessate e la difficoltà di controllo di tutti i parametri in gioco. A fronte della mole di prodotti e manufatti da costruzione presenti sul mercato, pochi sono quelli certificati (alcuni esempi nei campi delle: ceramiche, piastrelle, vernici, materassi).
In tutti gli altri casi volendo operare delle scelte oculate, le valutazioni da fare procedono in prima analisi in base alle categorie della «bio-compatibilità» e della «eco-sostenibilità». Esse sono da esaminare e dosare caso per caso, col supporto delle schede tecniche di prodotto, controllando gli organismi/istituti che hanno realizzato prove, controlli e test.
Per valutare i materiali utilizzati secondo la loro bio-compatibilità si consideri la salubrità per coloro che saranno i fruitori finali, ma anche per gli operatori o gli applicatori che realizzeranno gli interventi.
Nel caso di prodotti come gli arredi o i parquet, ad esempio, è importante richiedere la classe di emissione per la formaldeide (uno dei principali inquinanti indoor, normata con la EN 717-1) avendo cura di evitare prodotti con alti contenuti di collanti e resine sintetiche. Oppure nella scelta di materiali litici porre attenzione nella provenienza delle pietre, infatti alcuni graniti e tufi di origine vulcanica possono emettere radon (gas radioattivo che fa parte della naturale emissione della terra).
Nell’ottica di una progettazione ecologica l’altra qualità dei materiali è la loro eco-sostenibilità, ovvero la sostenibilità ambientale, considerando, come detto, nel modo più organico gli impatti generati in tutte le fasi di vita dei prodotti, dalla produzione alla dismissione.
Ad esempio alcune aziende produttrici di laterizi porizzati (cioè dotati di micro cavità che ne migliorano le prestazioni per il risparmio energetico) hanno messo a punto un ciclo di produzione che sfrutta farine vegetali, invece di componenti petrolchimici, con notevole abbassamento dell’impatto a livello di emissioni inquinanti.
In sostanza, in questo come in altri casi, la compatibilità dell’ attività antropica con l’ambiente diventa un obiettivo sempre più importante e irrinunciabile ed una mirata progettazione, costruzione e demolizione degli edifici può consentire un notevole miglioramento delle prestazioni ambientali e dei risultati economici delle città, nonché della qualità della vita dei cittadini.

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