I ricercatori hanno dimostrato un modo semplice ed economico per autoassemblare dispositivi elettronici utilizzando un nastro trasportatore completamente liquido.
Prendete dell’olio e dell’acqua, versateli in un recipiente con ingredienti scelti e otterrete…micro celle solari. Una semplificazione forse eccessiva ma la “ricetta” appena descritta si allontana di poco dal lavoro svolto dai ricercatori statunitensi dell’Università del Minnesota. Nei laboratori dell’ateneo è stato, infatti, messo a punto un innovativo processo di auto-assemblaggio per dispositivi fotovoltaici di dimensioni micrometriche.
Attualmente le moderne tecniche produttive richiedono un alto grado di controllo e di intervento per ottenere materiali collegati in configurazioni precise, ma la scienza si è interessata finora a sviluppare al meglio processi produttivi per ‘taglie differenti’: al di sopra di una certa dimensione è possibile infatti utilizzare la gravità per guidare l’auto-assemblaggio, mentre su scala nanometrica si possono impiegare processi chimici, come l’appaiamento delle basi del DNA. Nel mondo del micro tutto ciò è ovviamente impraticabile. Gli autori della ricerca, Robert Knuesel e Heiko O. Jacobs, sono partiti sfruttato l’effetto della gravità, assemblando dunque dispositivi attraverso il cosiddetto processo di “sedimentazione”. In questo approccio unità “vergini” sono incise in modo che corrispondano esattamente alla forma dei componenti che dovrebbero depositarsi da soli negli spazi corrispondenti come la sabbia sul letto di un fiume, una volta immerso il tutto in un liquido. “Questo è ciò che abbiamo provato a fare per almeno due anni ma non siamo mai stati in grado di assemblare i componenti ad alto rendimento: in questo caso la gravità non funziona”, ha dichiarato Jacobs.
Per superare le difficoltà, i ricercatori hanno progettato un substrato flessibile composto da un sottile strato di rame ricoperto da propilene-tereftalato (PET) su cui sono state incise delle depressioni periodiche della medesima dimensione; il foglio è stato quindi immerso in un bagno di stagno fuso, che ha rivestito il rame esposto nelle incisioni. Hanno quindi proceduto a realizzare i singoli elementi solari consistenti in un cubo in silicio con una faccia d’oro dotata di un rivestimento idrofilo, contrariamente agli altri lati idrofobici. Quando gli elementi sono stati collocati in un contenitore contenente olio e acqua, si sono semplicemente disposti sul foglio al confine tra i liquidi, con la faccia d’oro rivolta verso l’acqua.
Il substrato è stato fatto lentamente slittare attraverso il confine, come un nastro trasportatore, di modo tale che gli elementi scendessero ordinatamente nelle depressioni. La resina epossidica ha completato il lavoro di ancoraggio. Il processo, scrivono i due autori, è in grado di assemblare 62.000 elementi, ognuno dei quali più sottile di un capello umano, in soli tre minuti. Dopo aver dimostrato che il concetto funziona, il team sta ora indagando la minima dimensione che i singoli elementi possono raggiungere.