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Carbon Capture and Storage: l’ora delle decisioni

L’interesse suscitato dal Carbon Capture and Storage (CCS) e dalla promessa di un futuro a basse emissioni sta facendo convergere politiche energetiche ed investimenti a livello mondiale, che vedono nella tecnologia in questione il compromesso tra l’impegno ambientale richiesto e l’attuale sistema di produzione energetica. Il mito del “carbone pulito” cerca dunque di consolidarsi rapidamente, soprattutto in vista dell’appuntamento danese, e tiene banco in questi giorni a Londra, dove, da lunedì, ha preso il via il “Carbon Sequestration Leadership Forum”:https://www.cslforum.org/ ; l’evento internazionale riunisce nella capitale britannica i ministri dell’energia provenienti da oltre venti paesi con l’obiettivo di discutere le modalità per accelerare la commercializzazione dei sistemi di cattura e stoccaggio delle emissioni prodotte da centrali a carbone, gas e industria siderurgica, ed in particolar modo si focalizza sul piano emerso dal G8 per individuare una ventina di progetti dimostrativi in materia entro il 2010.
Le speranze riposte sulle tecniche di geosequestro della CO2 devono attualmente fare i conti con una tecnologia ancora nelle fasi sperimentali. Mentre in Australia e negli Usa si tirano le somme sui primi test, Steven Chu, Segretario statunitense dell’Energia, esprime le proprie previsioni in merito all’attesa fase commerciale. Secondo il numero uno del DOE per una distribuzione a livello globale del CCS si dovrà attendere il 2017-2019, un’aspettativa ottimistica, dal momento che molti degli analisti sono convinti che non possa essere resa disponibile su larga scala prima del 2020. Alla spinta di sviluppo internazionale gli States contribuiranno con la messa “on-line” di dieci impianti dimostrativi entro il 2016. “Sono convinto che sia nostro dovere promuovere la cattura e immagazzinamento per far si che sia diffusa e distribuita a prezzi accessibili già tra otto anni”, ha detto Chu. Gli Stati Uniti, a livello amministrativo stanno investendo nella tecnologia oltre quattro miliardi di dollari, a cui vanno sommati ben sette miliardi da parte del settore privato. “Sarà necessario – ha concluso il Segretario – uno sforzo aggressivo globale, sfruttando il talento scientifico e le risorse dei governi e dell’industria”.
Secondo le recenti stime rilasciate dall’International Energy Agency (IEA) entro il 2020, a livello globale, sarà necessario realizzare un centinaio di grandi impianti di cattura e stoccaggio del carbonio, con altri migliaia di progetti in fase di progettazione per i successivi tre decenni. “Avremo bisogno di cento progetti su larga scala entro il 2020, 850 nel 2030 e 3.400 nel 2050”, ha dichiarato Nobuo Tanaka, precisando che molti progetti dovranno riguardare le economie emergenti, al di fuori del gruppo dei Paesi industrializzati. “L’OECD dovrà far da guida nel primo decennio, ma la tecnologia deve espandersi rapidamente nel mondo in via di sviluppo, dove si prevede la stragrande maggioranza di crescita delle emissioni. Entro il 2050 le nostre stime indicano che il 65 per cento dei progetti CCS devono essere situati in paesi non-OECD”. In termini d’investimenti, spiega la IEA, saranno necessari 56 miliardi dollari nel decennio 2010-2020 e 646 miliardi per il periodo 2021-2030.
Eppure la questione finanziaria rimane delicata. A livello Comunitario soltanto lo scorso 7 ottobre l’UE ha rivelato il tanto atteso piano per triplicare i finanziamenti comunitari destinati alla ricerca energetica per il prossimo decennio, concedendo un ruolo importante alle tecnologie di sequestro e cattura delle emissioni di anidride carbonica e attirando le critiche di esponenti di associazioni ambientaliste e ONG per i quali il geosequestro della CO2 rimane un palliativo costoso in grado di distogliere l’attenzione dalle azioni urgenti.
Dei 50 miliardi di euro che dovrebbero essere mobilitati, il CCS si aggiudicherebbe infatti ben 13 miliardi, da destinare ad un massimo di 12 progetti dimostrativi e secondi solo ai 16 stanziati per l’industria del solare. “Se vogliamo avere successo nella lotta ai cambiamenti climatici le autorità pubbliche dovranno continuare a sostenere la promozione di sviluppo e diffusione delle tecnologie CCS. Tuttavia, è anche tempo di ingenti investimenti del settore privato al fine di commercializzare i progetti dimostrativi portandoli ad un livello di fattibilità economica”, ha affermato il commissario europeo all’Energia, Andris Piebalgs, dal palco londinese.
Il Forum ha adottato una Dichiarazione ministeriale sul sostegno a tali progetti, sullo scambio di know how e di capacità così come in merito alle altre priorità del CSLF e nella quale rientra anche l’odierno accordo di cooperazione firmato tra il ministro per l’Energia e i Cambiamenti climatici britannico, Ed Miliband, e il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola. Obiettivo dell’intesa realizzare un progetto in materia in entrambi i Paesi, che in Italia potrebbe vedere il Sulcis, in Sardegna, come sede d’elezione. La convinzione espressa da Scajola ricalca l’opinione europea, che vede nella cattura e stoccaggio delle emissioni una condizione sine-qua-non per raggiungere i prefissati obiettivi climatici. “Si tratta di una tecnologia innovativa d’importanza enorme, perché nel mondo c’é molto carbone. Nel tempo lo utilizzeremo il meno possibile perché inquina; ma se possiamo catturare le emissioni, possiamo usare questa risorsa nel rispetto dell’ambiente”. “Noi – ha ricordato il ministro – puntiamo alla diminuzione delle emissioni, alla riduzione dei consumi attraverso l’efficienza energetica e alla diversificazione delle fonti. Entro il 2030, noi vogliamo che ci sia un 50% di energia prodotta da combustibili fossili, un 25% dal nucleare, e un 25% con le rinnovabili. E per quel che riguarda il fossile (gas e carbone), noi lavoriamo per i sistemi di CCS, per avere un’ulteriore diminuzione di emissioni”.
Finora per l’Italia c’è di certo che il Piano di rilancio economico europeo ha destinato 100 milioni per l’impianto nella centrale Enel di Porto Tolle.
Della stessa convinzione Miliband: “Siamo tutti d’accordo che il CCS debba essere sviluppato, e assicurarsi che il mondo possa permetterselo attraverso un nuovo meccanismo di finanziamento, sarà un elemento centrale di qualsiasi accordo a Copenaghen”. In tal senso il governo britannico ha espresso l’intenzione di voler assumere un ruolo guida a livello mondiale nello sviluppo delle tecnologie CCS, al fine di esportare tecniche e competenze a paesi, come la Cina, che stanno investendo massicciamente nelle centrali a carbone. Ma per i critici del Carbon Capture and Storage rimane la convinzione che si tratti di sistemi non comprovati, il cui grosso neo è quello di spostare importante finanziamenti altrimenti destinabili ad alternative “davvero” verdi.
E c’è chi come l’Unep fa notare che in natura esistano già sistemi di cattura del diossido di carbonio efficienti e soprattutto gratuiti: oceani, ecosistemi marini, zone umide costiere e foreste tropicali assorbono tutti i giorni grandi quantità di carbonio dall’atmosfera. E rimangono ancora uno dei migliori e trascurati alleati naturali nelle strategie di lotta al cambiamento climatico.

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