Rinnovabili

Bruciare il ghiaccio per produrre energia?

Nel ghiaccio potrebbe trovarsi una nuova spinta energetica dotata della capacità di integrarsi perfettamente con le fonti tradizionali e costituire una sorta di ponte verso un futuro di energia rinnovabile e a zero emissioni, dove idrogeno ed energia solare facciano da padroni. Ne sono convinti Tim Collett, ricercatore all’United States Geological Survey (USGS) di Denver e colleghi, che dal palco della prestigiosa American Chemical Society ha presentato i risultati di un’interessante ricerca: i gas idrati, contenuti nei blocchi di ghiaccio che si raccolgono sotto gli oceani e sotto il permafrost artico, poterebbero essere impiegati con ottimi risultati nella produzione energetica sostenibile, rilasciando nel processo di combustione una quantità minore di inquinanti rispetto agli altri carburanti fossili.
Noti anche come “ghiaccio che brucia” o “clatrati”, i gas idrati in realtà sono conosciuti da tempo; si tratta di solidi in cui molecole gassose, generalmente metano, occupano una sorte di gabbie composte da molecole d’acqua unite da legami idrogeno. La loro formazione avviene naturalmente ambienti caratterizzati da bassa temperatura ed alta pressione e il crescente interesse della comunità scientifica ha portato a rilevare enormi depositi di tali gas non solo nella zona del permafrost artico ma in tutto il mondo, compresi Stati Uniti, l’India, e Giappone.
Erano stati portati alla ribalta dai media già la “scorsa estate”:https://www.rinnovabili.it/il-metano-da-una-mano-alleffetto-serra-507002, ma in riferimento al rischio a cui questi grandi “magazzini” di gas, e più precisamente gli idrati di metano, potrebbero andare in contro con il progressivo surriscaldamento dei poli. Nonostante il pericolo di una progressiva liberazione dei clatrati a causa dello scioglimento dei ghiacci sia un fattore da tenere sotto controllo, la capacità di questi particolari solidi ha catturato l’attenzione dei geologi su più fronti. Innanzitutto come già accennato per la possibilità di estrarre questi gas e riutilizzarli nella produzione energetica.
Secondo uno studio della USGS le quantità contenute nella sola regione di North Slope, Alaska, potrebbe fornire abbastanza calore ad oltre 100 milioni di case per più di un decennio. Una delle tecniche più promettenti per l’estrazione degli idrati comporta semplicemente la depressurizzazione dei depositi e l’iniezione di inibitori chimici o in alternativa attraverso lo scambio di molecole di metano nella “struttura clatrata” con molecole di anidride carbonica, aprendo dunque una nuova frontiera del confinamento del biossido di carbonio, prodotto dai processi di combustione, nel sottosuolo.

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