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BedZed: grande flop o progetto troppo ambizioso?

Pioniere dei progetti a emissioni zero su scala urbana, il quartiere londinese è messo a nudo ogni anno con la pubblicazione dei risultati di monitoraggi e verifiche sugli impianti che contribuiscono alla sua autonomia energetica: il risultato non è dei più sperati, poiché in alcuni casi l’inseguimento della sostenibilità ad ogni costo si rivela un colossale flop

A cinque anni dall’ultimazione del quartiere più “green” d’Europa, un inviato speciale torna sul “luogo del delitto” e rimane sconcertato credendo di trovare in piena attività sotto il sole splendente le diverse tecnologie che fanno di BedZed (Beddington Zero Energy Development) il fiore all’occhiello di una metropoli in corsa per la riduzione delle emissioni di gas serra, con la sua promessa atmosfera serena di pacifica condivisione di spazi e servizi ed i comignoli colorati in funzione sotto l’azione di una sottile brezza mattutina, invece… I convettori multicolori hanno perso velocità diminuendo il rendimento, riscaldamento ed elettricità affidate alle biomasse non funzionano e costringono da due anni alla dipendenza dalle reti nazionali di approvvigionamento del servizio e dell’energia, il sistema di recupero e riutilizzo delle acque grigie e meteoriche è praticamente fermo a causa di un mancato accordo tra le parti, per non parlare del car-sharing, pratica di condivisione dell’automobile che sembra non aver “attecchito” nel modo sperato all’interno della comunità di BedZed, i cui abitanti seguitano ad utilizzare ognuno la propria auto. Dulcis in fundo, le serre di cui è dotato ogni appartamento si surriscaldano nella bella stagione, gravando in modo significativo sui costi di gestione degli impianti, soprattutto per il controllo del comfort igrotermico interno agli alloggi. Analizzata in questo modo, l’esperienza del quartiere londinese sembrerebbe un colossale buco nell’acqua, ma è bene non lasciarsi ingannare, poiché si tratta di una tra le prime esperienze a tutto tondo di questo tipo, applicata ad un intero comprensorio urbano. Quindi, sorvolando sulle problematiche di ordinaria amministrazione, tutto sommato previste o prevedibili in fase progettuale, si possono verificare i reali sforzi che hanno permesso la messa in campo di forze e competenze per la realizzazione di un “green plan” di tutto rispetto, anzi, al di là delle aspettative, e forse fin troppo ambizioso per la società odierna ancora da “sgrezzare” in materia di rinnovabili e sostenibilità. Bisogna infatti ricordare che BedZed, intervento progettato dall’Architetto Bill Dunster e realizzato da Peabody Trust, associazione promotrice di edilizia sociale londinese, in collaborazione con Arup Group, si pone come grande obiettivo il connubio tra l’utilizzo ottimale delle risorse naturali rinnovabili e l’aumentare dell’autonomia energetica degli insediamenti urbani, incentivando il coinvolgimento sociale degli abitanti. Il quartiere, infatti, presenta un misto di spazi per attività, lavoro e residenza (83 alloggi), una densità urbana molto alta, la vicinanza dei servizi, case con propri spazi all’aperto individuati da serre e “sky-gardens”, la luce naturale come materiale di progettazione degli ambienti, qualità dell’aria e comfort. Non vengono utilizzati combustibili fossili, ma energie rinnovabili al 100%: case a riscaldamento solare passivo e ad una corretta progettazione dell’involucro (super isolamento, con vaste superfici di materiali ad alta capacità termica; tetti “verdi” che aumentano l’inerzia termica dell’edificio, il valore ecologico del sito e la capacità di assorbimento del carbonio), moduli fotovoltaici per la produzione di energia per 40 veicoli elettrici, risparmio del 50% dell’acqua potabile grazie al trattamento ecologico dell’acqua in loco (sistema il cui funzionamento è molto rallentato negli ultimi anni). Riduttori di flusso applicati a rubinetti e docce, contatori visibili agli utenti, impianti a norma europea, toilette a flusso duale sono i dispositivi applicati ai terminali degli appartamenti. L’acqua piovana viene raccolta e immagazzinata in cisterne sotterranee per l’irrigazione e per gli sciacquoni. La fitodepurazione è utilizzata per il trattamento delle acque reflue), sistemi naturali di ventilazione eolica (il sistema di camini a vento è associato a uno scambiatore di calore che preriscalda l’aria in entrata con il calore sottratto all’aria esausta), uso di legno e di acciaio strutturale riutilizzato, cogenerazione di calore ed energia elettrica dagli scarti vegetali urbani (biomassa da scarti di verde urbano: un gassificatore converte il legno in gas che alimenta l’impianto di cogenerazione producendo calore ed elettricità). Per testare e verificare il reale funzionamento della totalità delle componenti che rendono sostenibile l’intero quartiere di BedZed, ogni impianto viene annualmente monitorato ed i risultati vengono pubblicati (quelli in tabella sono tratti dal sito di Bioregional, associazione ambientalista no profit britannica. L’ultimo monitoraggio e il relativo aggiornamento dei dati, risale allo scorso 18 settembre) per essere sottoposti all’imparziale giudizio di ricercatori, progettisti e cittadini comuni. Nonostante alcuni problemi dunque, l’insediamento risulta veramente una sfida ed un modello da imitare. Le testimonianze degli abitanti, raccolte e divulgate anche nel Giornale dell’Architettura di questo mese, dimostrano che le case, valutate un 15% in più rispetto a quelle dei quartieri delle zone limitrofe, riscuotono successo grazie non solo alla dimensione sociale del quartiere, ma anche al fatto che all’alta densità qui sperimentata fa riscontro la ricerca di un comfort e di un alto livello di vivibilità: ogni abitazione è dotata di giardino pensile (sky garden), di serre che ampliano del 15% lo spazio aperto dei singoli appartamenti, oltre alla riduzione delle bollette elettriche e ad un utilizzo dell’acqua potabile di un terzo più efficiente rispetto al resto dei quartieri londinesi, un risparmio di energia del 16% grazie alla cogenerazione e alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra di un sorprendente 40%. L’unica nota dolente di questi dati è legata al risparmio energetico dovuto all’architettura, ovvero ai materiali ed alle tecnologie qui adottate, che raggiunge un limitatissimo 3%. Ciò non toglie che è proprio nella corretta progettazione, parallelamente alla dotazione di impianti di sfruttamento delle energie rinnovabili ed alla educazione dei cittadini all’utilizzo ottimale del “sistema casa”, che il mercato dell’edilizia sostenibile dovrà puntare nei prossimi anni, perché la sostenibilità possa diventare reale tramite la trasformazione delle città in ambienti salubri e socialmente coinvolgenti, grazie anche alla collaborazione tra i diversi operatori ed attori del processo di progettazione e costruzione.
(fonti: Il Giornale dell’Architettura, anno 6 n. 57 dicembre 2007-12-12 e www.bioregional.com)

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