Che il calore serva per riscaldarsi non è una novità. Il gioco di parole, però, si fa interessante quando l’obiettivo diventa il raffrescamento. Cosa succede infatti quando la fonte di calore viene impiegata per generare aria fresca? A questa domanda ha cercato di rispondere il convegno “Solar cooling: il calore diventa fresco”, organizzato da ISES ITALIA nell’ambito di ZeroEmission Rome 2011, al quale hanno preso parte esponenti del mondo istituzionale, accademico e industriale.
Il solar cooling è una tecnologia utilizzata ormai da oltre un secolo, pronta ad affermarsi a livello economico e destinata ad avere nei prossimi anni buone prospettive di sviluppo nel mercato, alla luce anche degli impegni nazionali assunti dall’Italia in sede europea. Nonostante si tratti di sistemi ben datati (le prime applicazioni domestiche con macchina a compressore chimico comparvero agli inizi del 900), il solar cooling sembra oggi aprirsi a nuovi orizzonti applicativi, capaci di coniugare la riduzione dei consumi di energia elettrica e il benessere abitativo durante i mesi estivi.
Il principio è semplice: utilizzare calore per sottrarre calore. La stessa fonte di calore, infatti, può soddisfare sia le esigenze di riscaldamento che quelle di raffrescamento di un ambiente. Mentre per il riscaldamento è recente l’uso di aria calda, per il raffrescamento l’uso di aria fredda è stato, dall’inizio, pressoché l’unico sistema adottato. Lo spostamento di calore da una sorgente fredda a una più calda è un passaggio innaturale che, per avvenire, sfrutta un’energia elettrica o meccanica, quella normalmente utilizzata nelle pompe di calore. Quando invece l’energia chiamata in causa è quella termica, ecco che allora si può parlare di solar cooling.
Il raffrescamento mediante il solar cooling è oggi una delle applicazioni più promettenti per il solare termico. Oltre a utilizzare una fonte di energia pulita, il Sole, si tratta di una tecnologia che possiede molti vantaggi, tra cui la coincidenza tra la disponibilità massima di energia e il momento di massima richiesta (radiazione solare al suo massimo e giornate più lunghe), la capacità di fornire condizionamento in estate e acqua calda in inverno, e l’elevata sostenibilità ambientale, dovuta non solo ai fluidi di lavoro utilizzati (acqua e soluzioni saline, che non producono emissioni di CO2), ma anche al fatto che non emette gas serra nocivi, come i tradizionali condizionatori.
Affidare il calore o il “freddo” all’aria implica la necessità di trattenere calore con chiusure ermetiche dell’ambiente a causa della poca persistenza e comporta scambi convettivi che contrastano con quelli, più importanti, radiativi, con conseguenti squilibri percettivi e malesseri fisici. Il sistema di raffrescamento radiante a pavimento, per esempio, permette di ottenere un clima a misura d’uomo, creando una sensazione simile a quando in estate si scende in cantina dove le pareti hanno una temperatura inferiore a quella esterna. In pratica, mandando nei pavimenti radianti acqua a una temperatura tra i 15 e i 18°C in funzione dell’umidità relativa, si arriva a raffreddare i pavimenti a circa 19-20°C. In questo modo, con una temperatura esterna di 37-38°C, si riduce la temperatura interna dai 32-33°C a circa 24-25°C con notevole comfort e senza getti d’aria che producono una sensazione di fresco forzato e un fastidioso rumore di fondo.
Anche il mercato di questa tecnologia sembra sulla buona strada per affermarsi. Alle potenzialità che effettivamente esistono per il futuro del solar cooling, si aggiungono gli obiettivi che il Governo ha assunto con il Piano di Azione Nazionale (PAN). La domanda di energia da condizionamento estivo nell’UE a 15 crescerà al 2020 oltre i 100.000 GWh. Di questa crescita, il 25% è attribuibile all’Italia: un quarto dell’Europa a 15. Nel nostro Paese la percentuale relativa alla climatizzazione è di gran lunga la più elevata di tutte nei consumi domestici. Nonostante il PAN sia particolarmente sfidante sul piano del calore (esso prevede, infatti, grande ricorso alla biomassa, alle pompe di calore e al solare termico, e quindi anche al solar cooling), la necessità di rispettare gli obiettivi previsti implica un maggiore sforzo nell’efficienza energetica.
Anche sul piano normativo, nonostante il Decreto Romani abbia fissato delle “cornici” rinviando però la sostanza a successivi decreti attuativi, esso tuttavia riequilibra la generazione termica da rinnovabili con quella elettrica: per le piccole applicazioni termiche, infatti, prevede un equivalente del conto energia, quindi una tariffa incentivante che verrà caricata sulla bolletta del gas per 5 anni. Si tratta di un elemento che ha modificato radicalmente il sistema offrendo una certezza che prima mancava. Un altro margine di sviluppo che il Decreto Romani ha offerto al solar cooling riguarda l’obbligo di una copertura di calore proveniente da fonti rinnovabili per gli edifici di nuova costruzione o per quelli investiti da significativa ristrutturazione. Grande importanza, inoltre, è stata data all’informazione e alla formazione da portare avanti con programmi informativi e istruzione ad hoc.
Nonostante una crescente diffusione, però, l’innovativa tecnologia del solar cooling necessita ancora di strumenti adeguati per potersi affermare e di un supporto politico ed economico che ne promuova una sua diffusione sia a livello nazionale che in ambito comunitario. La necessità di raffrescarsi, inoltre, è una priorità trasversale alla ricchezza di un Paese (basti vedere quanti condizionatori ci sono in India). Per questo è ragionevole aspettarci una diffusione globale delle applicazioni legate al solare termico, e quindi al solar cooling, che, quando arriverà, non può trovarci impreparati.