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Apre la Conferenza di Copenaghen: quante speranze?

Apre oggi e possiamo dire senza timore di smentite che si tratta dell’avvenimento più importante dell’anno. Titoli in prima pagina, inserti speciali dei giornali, grandi servizi sui telegiornali, tutti i media mobilitati. I grandi del mondo a confronto e le speranze per l’esito di questo summit sono davvero appese ad un filo. Un filo lungo che ha iniziato a dipanarsi un paio d’anni (dal Summit di Bali nel dicembre 2007). Il mondo era molto diverso, soprattutto nel campo delle politiche energetico-ambientali.
Per esempio l’America era ancorata alle scelte conservatrici dell’esecutivo Bush e Obama ancora solo uno dei candidati alla 44a presidenza degli Usa. In Australia era ancora in carica il conservatore John Howard che non aveva ancora ratificato nemmeno il Protocollo di Kyoto (dopo vent’anni!). Anche in Giappone era al governo un partito conservatore, incline a dare poca importanza ai problemi del global warming e del climate change. Cina e India erano ancora troppo preoccupate a gestire la loro fase di crescita per essere sensibili alle tematiche del taglio dei gas serra. L’Unione Europea non aveva ancora varato il suo pacchetto “20-20-20”. E la crisi finanziaria che si è abbattuta sui mercati non aveva colpito l’economia con le nefaste conseguenze di ridurre anche la disponibilità di governi e istituzioni a investire soldi nella lotta alle emissioni nocive. Insomma in questi due anni sono successe molte cose tra cui decine di riunioni promosse dall’Unfccc, dal G8, dal G20, dall’Oced, dall’Unione Europea sul tema del clima, delle nuove energie e delle azioni per contrastare il riscaldamento globale che sta già provocando cambiamenti climatici.

h4{color:#D3612B;}. Copenhagen: un obiettivo o una tappa?

Allora, due anni fa’, ma anche solo un anno fa’, questo summit danese era visto come un punto fermo, indiscutibile, il momento in cui inderogabilmente si sarebbero prese delle decisioni storiche per il “dopo Kyoto”. Si pensava ad una data che avrebbe fatto registrare un’inversione di tendenza nella crescita delle emissione di gas serra e comunque come l’ultima occasione in tempo utile per non permettere al riscaldamento globale di innescare quel processo di cambiamento del clima che troppi parametri ormai indicano come non reversibile.
E invece?
Invece progressivamente riunione dopo riunione emergeva un’amara verità e una serie di ostacoli. Intanto una notevole resistenza da parte di tutti a trattare, cioè a cedere qualcosa delle proprie posizioni pur di arrivare ad un accordo condiviso. Si susseguivano summit, conferenze, meeting, riunioni più o meno allargate, ma le posizioni rimanevano lontane. E sempre più il partito di coloro che qualcuno chiama realisti, ma qualcun altro definisce miopi egoisti, iniziava a dichiarare che l’accordo di Copenhagen non poteva essere vincolante. Nessuno si è sottratto ultimamente a dichiarazione dei migliori intenti: si promettono tagli alle emissioni o introduzioni di consistenti fette di energie da fonti rinnovabili nel proprio mix energetico. Salvo poi tirarsi indietro quando si inizia a parlare di un’autorità che effettui dei controlli, quando si tratta di fissare degli obiettivi o di stabilire delle scadenze oppure di determinare dei livelli da rispettare. Sono molti quelli che promettono dei tagli ma poi vogliono essere loro stessi a controllore i risultati e ovviamente non si vuole sentir parlare di sanzioni se alla fine non sono stati rispettati gli standard prefissati.
Ma questa non è la soluzione.

h4{color:#D3612B;}. Le posizioni e il dibattito

E se a Copenhagen si dovranno combattere queste battaglie di retroguardia, antistoriche, e diremmo anche anti-scientifiche, si sarà perso in partenza. Ma purtroppo queste battaglie ci saranno. Perché i paesi poveri reclamano aiuti per combattere i cambiamenti climatici in una misura tale che gli stati industrializzati ritengono eccessiva. Perché tra le nazioni ricche e quelle in cosiddetto “rapido sviluppo” c’è una diatriba infinita. Le seconde accusano le prime di aver inquinato senza regole e senza limiti almeno per centocinquant’anni e di voler imporre ora delle regole severe che penalizzerebbero i primi, limitandone lo sviluppo che in questo momento stanno realizzando. E poi non c’è concordanza sulle quantità di emissioni che andrebbero tagliate. Si registrano inoltre le posizioni le più varie sulla data entro cui queste riduzioni andrebbero realizzate. Non esistono ampie convergenze sugli strumenti da utilizzare per combattere i gas serra.
Come hanno dichiarato leader, da Obama (Usa) a Hu Jintao (Cina), ma addirittura il delegato Onu al Clima, Yvo de Boer, la speranza di arrivare ad un accordo condiviso e vincolante è praticamente nulla.
Nonostante paesi come il Giappone, l’Australia e quelli dell’Unione Europea dovrebbero spingere verso un vero accordo, c’è da temere l’intesa cino-americana (i due paesi più inquinatori del mondo), tirandosi dietro India, Brasile, Indonesia, potrebbero spuntare una semplice intesa che riunisca solo dichiarazioni di intenti, un impegno a continuare le trattative per tutto il 2010 e intanto fissare ognuno per proprio conto le misure da adottare, decidendo lui stesso come, dove e quando.
Noi di Rinnovabili.it seguiremo con attenzione quotidiana la Conferenza e vi forniremo tutte le informazione sulle evoluzioni di quello che sarebbe potuta essere un summit storico e invece, con tutta probabilità, sarà solo una tappa come le altre.

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