Il Cdm ha approvato una norma con cui vengono revocati due commi della legge 99/09 contenenti la riforma dei certificati verdi. E l’Associazione produttori energia da fonti rinnovabili avverte: il mercato è in pericolo
(Rinnovabili.it) – La “Legge del 23 luglio 2009, n. 99”:https://www.parlamento.it/parlam/leggi/09099l.htm riportante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” conteneva al suo interno due commi relativi al trasferimento dell’obbligo di acquisto di Certificati Verdi (CV) dai produttori di energia ai titolari di un contratto in dispacciamento con la società Terna Spa.
La riforma allora introdotta assicurava sul mercato un equilibrio tra domanda e offerta dei titoli e soprattutto costituiva un valido sostegno nel percorso verso gli obiettivi comunitari del 2020 senza andare a gravare sulle spalle dei consumatori.
Una misura caldeggiata fin da subito dall’Aper che torna oggi sulla questione lanciando il proprio allarme. Nella seduta del Consiglio dei Ministri dello scorso venerdì 30 aprile, infatti, con il Decreto Legge recante “Misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l’assegnazione di quote di emissione di CO2”, si dispone l’abrogazione di tale obbligo.
Nella “lettera aperta”:https://www.aper.it/newsite/images/stories/Position_Paper/2010/lettera%20%20trasferimento%20dell%27obbligo.pdf rivolta al Ministero dello Sviluppo, l’Associazione esprime la sua preoccupazione e sottolinea che “con l’attuale sistema di obbligo, la richiesta annua di Certificati Verdi (circa 9-10 TWh) è poco più della metà rispetto al quantitativo di CV emessi annualmente in favore dei produttori rinnovabili (dai 16 ai 18 TWh). Ciò sortisce come inevitabili conseguenze il crollo dei valori dei CV sui mercati e la creazione di lunghissime code di CV invenduti. Basti al proposito ricordare la svalutazione cui si è assistito nell’estate 2008, che ha di fatto dimezzato il valore dei CV rispetto agli anni precedenti (da valori superiori a 120 €/MWh si passò infatti a 58 €/MWh)”.
“Lascia particolarmente perplessi – continua Aper – la motivazione di questa abolizione. Stando al testo di legge infatti, il motivo risiederebbe nel principio di invarianza degli oneri sull’utenza elettrica, principio ampiamente contestabile poiché il trasferimento dell’obbligo avrebbe al contrario consentito il riequilibrio dei fondamentali del mercato e il mancato ricorso a ulteriori forme di sostegno maggiormente onerose per il consumatore”.
Per evitare indesiderabili conseguenze, l’auspicio dell’Associazione è che vengano introdotte misure correttive, orientate alternativamente al sostegno del valore dell’incentivazione o al ripristino dell’equilibrio dei fondamentali di mercato.