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Allevamenti, (semi)assolti dal global warming?

(Rinnovabili.it) – Le concentrazioni atmosferiche di protossido di azoto (N2O), potente gas a effetto serra, sono aumentate in modo significativo a partire dal pre-industriale a causa dello sconvolgimento di origine antropica del ciclo dell’azoto globale. Tra i maggiori imputati per la comunità scientifica sono risultati essere l’agricoltura, causa il suo massiccio impiego di fertilizzanti, e gli allevamenti sempre più intensivi.
Al bestiame si dovrebbe addirittura il 65% delle emissioni di quello che è conosciuto anche come gas esilarante, rilasciato dalle attività umane e che ha un effetto sul riscaldamento terrestre pari a 300 volte quello dell’anidride carbonica (dati Fao).
Tuttavia, secondo un nuovo studio condotto congiuntamente da ricercatori tedeschi e cinesi, risulterebbe che le misurazioni dei flussi di N2O delle praterie sono spesso eseguite nel corso di brevi periodi di tempo e soprattutto durante la stagione di crescita, determinando dunque una comprensione limitata delle dinamiche giornaliere e stagionali.
L’indagine ha valutato l’evoluzione di dieci steppe della Mongolia scoprendo che, in questi specifici terreni, il bestiame può contribuire a limitare lo sviluppo dei microbi nel suolo che generano il gas.
“Generalmente si dà per scontato che aumentando i capi di bestiame si ottenga un aumento delle emissioni di protossido di azoto. Non è questo il caso”, ha commentato Klaus Butterbach-Bahl, uno degli autori. Sulla terra incolta infatti, la neve si accumula in inverno tra l’erba, creando una coperta isolante sul suolo e favorendo così la crescita di microbi che rilasciano ossido di azoto in primavera, quando le temperature si rialzano. Al contrario nei pascoli la maggior parte dei microorganismi vengono uccisi dal gelo in quanto la rada vegetazione permette un minor accumulo di neve.
“Trascurando queste interazioni di gelo e disgelo, gli approcci esistenti – secondo gli autori – possono avere sistematicamente sovrastimato le emissioni di N2O durante l’ultimo secolo, per le praterie temperato fredde e semi-aride, fino al 72 per cento”.

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