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Norme sull’End of Waste, cosa cambia?

Le nuove norme, inserite nella legge di conversione del decreto “Sblocca cantieri”, scontentano gli operatori di settore riciclo. Ecco qual è il problema

end of waste

(Rinnovabili.it) – Il 13 giugno scorso è stata approvata definitivamente la Legge di conversione del c.d. Decreto Sblocca cantieri. Tra le numerose modifiche e sospensioni alle norme del Codice degli appalti, l’articolo 1 comma 19 riscrive il comma 3 dell’articolo 184-ter del D.Lgs. 152/2006 nel quale è indicata la disciplina transitoria applicabile nelle more dell’emanazione dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste – EoW).

Da oltre un anno gli operatori aspettavano una norma che sbloccasse gli iter autorizzativi, ma quella introdotta dallo Sblocca cantieri non è stata accolta con grande entusiasmo.

 

Ma facciamo prima un passo indietro. Introdotto recependo la normativa comunitaria, l’art. 184-ter del Codice dell’ambiente rappresenta un passo fondamentale verso l’economia circolare. In base a tale articolo, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfa i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. L’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfino i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. Il comma 2 del citato art. 184-ter, dispone che i criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero “in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare“. In attuazione di tale disposizione sono stati emanati pochi regolamenti end of waste tra cui il recente D.M. 15 maggio 2019 (che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuti dei prodotti assorbenti per la persona, il c.d. Decreto Pannolini). Per gli altri materiali, per i quali non sono stati emanati criteri end of waste, il successivo comma 3 dispone che, nelle more della loro adozione, continuano ad applicarsi le disposizioni per il recupero semplificato dettate dai decreti del Ministro dell’ambiente emanati in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.

 

Con nota n. 10045 del 1° luglio 2016, il Ministero dell’Ambiente aveva riconosciuto il potere, in capo alle regioni e agli enti da esse delegati, di definire, in assenza di regolamenti comunitari o ministeriali, criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto in sede di rilascio delle autorizzazioni, quindi “caso per caso”. Successivamente, però, con la sentenza n. 1229/2018, il Consiglio di Stato ha negato che enti e organizzazioni interne allo Stato possano vedersi riconosciuto potere di «declassificazione» del rifiuto in sede di autorizzazione in ragione del fatto che la disciplina dei rifiuti ricade, per costante giurisprudenza costituzionale, nella materia della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (lettera s) del secondo comma dell’art. 117 Cost.), di competenza esclusiva dello Stato.

La pubblicazione di tale sentenza, nonché l’emanazione di pochissimi decreti ministeriali previsti dall’art. 184 ter, hanno di fatto paralizzato le attività degli operatori, per cui un intervento normativo era necessario.

 

La norma contenuta nello Sblocca Cantieri, (art. 1 comma 19) nel riscrivere il comma 3 dell’art. 184-ter D.lgs 152/2006 dispone che nelle more dell’emanazione di criteri end of waste  la disciplina transitoria a cui fa riferimento il testo vigente (vale a dire le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente datati 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269) continua ad applicarsi in relazione alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti; in sede di rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di trattamento rifiuti (di cui agli articoli 208, 209, 211 e di cui al Titolo III-bis, parte seconda, del D.Lgs. 152/2006), le regioni possono utilizzare, quali criteri end of waste, i parametri indicati nei richiamati decreti ministeriali (D.M. 5 febbraio 1998; D.M. 161/2012; D.M. 269/2005).

In altri termini, le Regioni potranno rilasciare le autorizzazioni ordinarie solo attenendosi alle norme nazionali per il recupero (rifiuti in ingresso, materiali in uscita, processi di recupero, limiti e condizioni gestionali), tranne che per aspetti residuali, come le quantità dell’impianto da autorizzare e soprattutto, non potranno procedere ad autorizzazioni “caso per caso”.

 

Si prevede infine l’emanazione di linee guida da parte del Ministero dell’ambiente (mediante decreto, non avente natura regolamentare) per garantire l’uniforme applicazione sul territorio nazionale della norma in esame. Viene inoltre precisato che tali linee guida dovranno: fare particolare riferimento alle verifiche sui rifiuti in ingresso nell’impianto e ai controlli sugli oggetti e/o sostanze risultanti dalle operazioni di recupero svolte nell’impianto medesimo; tener conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana.

La norma, molto attesa, non ha soddisfatto gli operatori che lamentano l’applicazione di parametri risalenti nel tempo che non comprendono numerose altre filiere (che utilizzano processi e materiali diversi e anche più innovativi) ancorate alla lentezza con cui vengono emanati i decreti ministeriali.

 

di Maria Giovanna Laurenzana – Studio Sani-Zangrando