Rinnovabili • Rinnovabili •

Italia maestra nella rigenerazione dell’olio usato

Ecco perchè oggi in Italia, grazie agli alti livelli raggiunti dalla rigenerazione, si riesce a produrre basi lubrificanti con caratteristiche identiche a quelle ottenute dal petrolio grezzo

olio-lubrificante-rigenerazione(Rinnovabili.it) – La rigenerazione è il sistema di trattamento preferenziale per l’olio lubrificante usato. Si tratta di un settore di cui il nostro Paese può andare fiero, grazie a una legge che con lungimiranza ne ha individuato la priorità e all’alto livello raggiunto dalla tecnologia nel corso degli anni. Una volta esausti, infatti, gli oli lubrificanti devono, ove ci siano le condizioni, essere rigenerati, riportati cioè alle loro caratteristiche d’origine. Oggi l’Italia sa rigenerare gli oli esausti molto bene e, nonostante ci siano alcuni aspetti che non vanno sottovaluti, si è guadagnata una posizione d’avanguardia sul panorama internazionale. Ce lo racconta Marco Codognola, a capo della Direzione Commerciale di un’azienda, la Viscolube, che rigenera oli usati da circa mezzo secolo.

 

«La Viscolube nasce 50 anni fa e nel corso degli anni ha sempre investito in ricerca e sviluppo e fatto della rigenerazione dell’olio usato un mestiere molto più vicino alla raffinazione che non al trattamento dei rifiuti. Con una logica affine a quella dei raffinatori, più che quella degli smaltitori, ha considerato l’olio usato non solo un rifiuto pericoloso da trattare con tutte le cautele del caso, ma anche una risorsa energetica importante da trattare con processi adeguati. Già 10 anni fa lo sviluppo tecnologico aveva raggiunto livelli tali grazie ai quali oggi si produce basi lubrificanti rigenerate assolutamente equivalenti dal punto di vista chimico-fisico e quindi prestazionale a quelle prodotte da petrolio grezzo».

 

Agli albori, ci spiega Codognola, la Viscolube si è ritrovata ad operare con altri soggetti presenti sul mercato: la semplicità della tecnologia aveva favorito il proliferare di società che si occupavano di rigenerazione. Siamo intorno alla fine degli Anni 60 e le basi rigenerate prodotte sono di qualità medio – bassa, se confrontate con quelle disponibili oggi. Poi però qualcosa è cambiato.

 

«Nel momento in cui qualcuno ha iniziato a investire e a migliorare i processi rigenerativi – ci spiega – si è creata un po’ una selezione naturale: coloro che potevano produrre prodotti rigenerati migliori mettevano fuori mercato quelli che invece non potevano competere. La normale scrematura del mercato ha portato a 6 – 7 impianti di rigenerazione che, dagli Anni 90 in poi, hanno iniziato a coprire tutto il fabbisogno della rigenerazione italiana, soddisfacendo una domanda di rigenerazione direttamente proporzionale alla quantità di lubrificanti immessi al consumo».

 

Quando si guarda alla storia e alla dimensione del mercato della rigenerazione, precisa Codognola, non si può non guardare anche a quella del mercato dei lubrificanti, che in questi ultimi 20 anni è passata da un volume di picco di circa 600.000 tonnellate di lubrificanti immessi al consumo ogni anno alle circa 400.000 tonnellate relative all’anno appena terminato.

 

«In circa 20 anni – aggiunge – il mercato dei lubrificanti si è contratto di circa il 50%. Il riflesso di questa cosa, nel mercato della rigenerazione, è stato quello di avere una disponibilità di olio usato che si è ridotta di circa il 50%. Di contro, però, l’efficienza della raccolta in Italia è cresciuta, raggiungendo percentuali tra le più alte al mondo. Ad ogni modo, riducendosi la quantità di olio usato, molti soggetti della filiera che non hanno più avuto a disposizione gli stessi quantitativi di olio usato non hanno più trovato economico stare in questo settore e questa progressiva contrazione del mercato ha subito un’ulteriore accelerazione per effetto della tecnologia».

 

Marco-Codognola-rigenerazione-olio-usatoLa Viscolube, lo apprendiamo da Codognola, ha realizzato nel 2002 il primo impianto di trattamento che consente di produrre una base lubrificante perfettamente identica a quella ottenuta da petrolio grezzo. Oltre alle sue 2 raffinerie, una a Pieve Fissiraga vicino Lodi e una a Ceccano in provincia di Frosinone, sul panorama nazionale di rigenerazione se ne occupano anche alla Ramoil, nel napoletano, la Siro, a Corbetta in provincia di Milano, e la Siral, che si trova a Nola in provincia di Napoli. Cosa accede invece all’estero? Se in Italia si raccolgono circa 175.000 tonnellate all’anno di olio usato, in Francia se ne raccolgono circa 210.00, in Inghilterra circa 400.000 e in Germania circa 500.000. Il problema, però, è che nella maggior parte dei casi non viene avviato alla rigenerazione.

 

«In Francia, per esempio – chiarisce – esistono 2 aziende di rigenerazione ed esiste una normativa in materia che consente, in maniera non indiscriminata, ma non eccessivamente restrittiva, la combustione dell’olio usato. All’estero, insomma, la combustione dell’olio usato è ammessa in maniera irragionevole e ciò provoca un duplice danno: emissioni in atmosfera sostanze altamente inquinanti e spreco di petrolio grezzo. Tutto questo perché lobby industriali che non hanno assolutamente a cuore l’ambiente e il bilancio energetico del Paese preferiscono bruciare l’olio usato come combustibile a basso costo, quando invece avrebbero il dovere di rispettare le normative sulle emissioni, in linea con gli standard europei. In Italia nessuno brucia olio usato che può essere rigenerato; Germania e Regno Unito hanno già ricevuto procedure di infrazione da parte della Commissione europea».

 

Quale sono, dunque, le criticità che il settore dovrebbe superare? Di sicuro la scarsa consapevolezza sulla priorità che la Commissione Europea assegna alla rigenerazione e al riciclo nella gerarchia di smaltimento dei rifiuti stabilita con la Waste Directive. Si tratta di un dettame che dovrebbe essere applicato in maniera rigorosa in tutti gli Stati, senza deroghe che consentano la combustione indiscriminata di olio.

 

«Questa è la principale minaccia al settore in un’ottica di mercato europeo. Ma a ciò – conclude – si aggiunge anche un’altra criticità: una mancata consapevolezza da parte del mercato interno. L’industria lo sa, ma è una consapevolezza di cui non si vuole fare troppa pubblicità per non andare contro gli interessi dei produttori di basi di prima raffinazione. Noi riteniamo che, laddove ci siano eccellenze capaci di dimostrare che si può fare industria e prodotti di qualità con la rigenerazione, diffondere la cultura della rigenerazione e del riciclo sia un dovere da parte di tutti».