di Laura Luigia Martini e Alessandro Rogora
La centralità del porto nello sviluppo economico delle comunità locali ha radici lontane. Sin dai tempi degli antichi greci, le piccole insenature naturali a protezione delle imbarcazioni da onde e correnti si trasformarono in aree di enorme interesse economico, quando furono costruiti porti artificiali sempre più grandi per garantire il flusso crescente di merci e persone.
Basti ricordare che, sin dall’XI secolo, grazie al crescente fiorire dell’economia, le repubbliche marinare (Amalfi, Pisa, Genova e Venezia) riuscirono a sviluppare flotte mercantili in grado di spingersi in tutto il Mediterraneo con un crescente bisogno di porti ben organizzati: da semplice attracco per le navi, l’area portuale si trasformò in fulcro di una fitta rete di commerci e propulsore di sviluppo economico per le città, ben presto diventate centri politici, dove affari e potere si incontravano e si sostenevano a vicenda.
La scoperta delle Americhe segnò un momento di discontinuità per la storia dei porti del Mediterraneo, determinando lo spostamento del baricentro marittimo sulle coste atlantiche, più vicine a quelle del Nuovo Continente. Limitato per quattro secoli ad essere un mare chiuso, il Mediterraneo divenne uno sbocco naturale ai traffici internazionali con l’Estremo Oriente grazie all’apertura del canale di Suez nel 1863 che, di fatto, dimezzò il tempo necessario per raggiungere India, Malacca e Cina, evitando la circumnavigazione dell’Africa.
Ancora oggi il Mediterraneo rappresenta ancora una via privilegiata di transito per i traffici dei container, concentrando il 27% dei circa 500 servizi di linea mondiali via nave e determinando un forte impulso economico per la città che si sviluppa intorno ad un porto di grandi o medie dimensioni.
L’“Indagine sui trasporti internazionali di merci” del 2020, condotta annualmente dalla Banca d’Italia, rileva che, su un totale di 269 milioni di tonnellate di merci in import in Italia, il 54,6% è arrivata via mare e che, di circa 132 milioni di tonnellate di merci in export, il 43% è partita via nave. Il rapporto tra traffico marittimo internazionale e PIL italiano nel periodo 1996-2020 è rimasto stabile nel tempo, con valori compresi tra il 12% e il 16%.
Come cambierebbero questi valori fronte di interventi infrastrutturali significativi?
Ormai da anni il volume totale italiano risulta stabile intorno ai 10 milioni di TEU, relegando solo al decimo posto in Europa Gioia Tauro, il primo porto italiano che, secondo Assoporti, nel 2019 ha movimentato circa 2,5 milioni di TEU. Lato crocieristico, nel 2019 ben 4 porti europei rientravano fra i primi 10 porti al mondo per passeggeri in transito annuo; 2 sono italiani (Civitavecchia e Venezia con 2,7 milioni e 1,6 milioni di passeggeri rispettivamente). Secondo il Rapporto Shipping Italia 2020, realizzato da Nomisma per Assarmatori nel marzo 2021, il settore marittimo (merci e passeggeri) in Italia ammontava a 12,7 miliardi di euro prima della pandemia, ed era il quarto per capacità di attivazione sull’economia grazie agli oltre 48 mila posti di lavoro. Il CENSIS stima un effetto moltiplicativo collegato all’utilizzo del porto e quindi alla “logistica portuale” pari a 2,22 in termini di valore e 1,75 in termini di occupazione: questo significa che, per ogni euro investito nelle infrastrutture portuali, se ne genera almeno il doppio nell’economia locale in termini di ricadute dirette, indirette e indotto.
Tutti questi dati evidenziano la necessità di investire nei porti per sfruttare la loro capacità di “effetto domino” nello sviluppo economico del territorio in questa fase di ripresa del Sistema Paese: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e le risorse aggiuntive ad esso correlate, destinano diverse risorse per interventi riguardanti la portualità. In particolare, il focus dei primi provvedimenti risulta sulla transizione ecologica delle aree portuali per dare impulso al loro processo di decarbonizzazione e per aumentarne la capacità:
- Attraverso il PNRR: il MITE ha previsto il finanziamento di interventi per la sostenibilità ambientale dei porti (Green Ports) per un totale di 270 milioni di euro; il MIMS, in collaborazione con Ministro per il Sud e la coesione territoriale, prevede il finanziamento di interventi per le Zone Economiche Speciali (ZES) per un totale di 630 milioni di euro.
- Attraverso il Fondo Complementare: il MIMS ha destinato 700 milioni per l’elettrificazione delle banchine (Cold Ironing), 1,47 miliardi per lo sviluppo dell’accessibilità marittima e della resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici, 390 milioni per l’aumento selettivo della capacità portuale e 250 milioni per effettuare interventi nell’ambito dell’ultimo/penultimo miglio ferroviario/stradale.
A tali cifre, si possono aggiungere altre risorse messe a disposizione dalla Commissione Europea, ad esempio attraverso il CEF (Connecting Europe Facility) ed i programmi IPCEI (Important Projects of Common European Interest), per supportare la transizione energetica verso l’utilizzo di combustibili innovativi come l’idrogeno e dare un significativo impulso alla realizzazione delle necessarie infrastrutture per produrli in modo sostenibile da fonti rinnovabili come impianti fotovoltaici oppure eolici, anche in configurazione offshore. Accanto alla transizione ecologica, il PNRR ha destinato risorse per avviare anche il processo di digitalizzazione dei porti: per aumentare i volumi di merci movimentate, oltre ad ampliare le infrastrutture si può lavorare per sfruttare al meglio gli spazi disponibili utilizzando tecnologie come il 5G, l’Internet of Things e l’Artificial Intelligence, potenzialmente determinanti nel rendere il processo operativo logistico molto più efficiente.
In questo ambito, a livello europeo il porto di Rotterdam rappresenta indubbiamente il punto di riferimento: grazie al sistema denominato “digital twin”, si è dotato di una replica virtuale del porto che in tempo reale raccoglie ed elabora tutti i dati relativi ad infrastrutture, movimenti di navi e trasporti su rotaia, condizioni meteorologiche e correnti marine. Entro il 2030 si prevede che il sistema sia in grado di guidare automaticamente le navi agli ormeggi anche senza equipaggio, riducendo i tempi di attesa.
Su questo fronte, l’Italia necessita di un urgente intervento per adottare soluzioni hi-tech nei porti: gli attuali procedimenti amministrativi in capo a diverse pubbliche amministrazioni si traducono in una perdita di 20 mila ore di lavoro all’anno. Cassa Depositi e Prestiti stima che tale inefficienza comporti l’11% di costi extra per le imprese italiane della logistica rispetto alla media europea e perdite per 70 miliardi di euro l’anno per le casse dello Stato, di cui 30 imputabili a oneri burocratici e ritardi digitali.
Secondo il rapporto “Dieci anni per trasformare l’Italia” pubblicato dal MIMS nel luglio 2021, gli investimenti prioritari nelle infrastrutture per la mobilità ammontano a 9,6 miliardi di euro: attraverso le varie risorse sopra illustrate, si pensa di finanziare interventi fino ad un totale di 8,3 miliardi. Chiaramente resta un fabbisogno residuo; tuttavia, se indirizzate correttamente, queste risorse potranno dare un significativo impulso ed avviare un nuovo percorso di evoluzione dei porti che ora possono ambire a diventare hub polifunzionali, intermodali, efficienti ed ecologicamente sostenibili in grado di determinare effetti moltiplicativi economici ancora più elevati, in termini di valore e di occupazione, di quelli attuali.
Gli enti attuatori, ovvero le Autorità di Sistema Portuale, hanno indubbiamente la consapevolezza degli interventi da realizzare e possono trovare in Italia eccellenze industriali come il Gruppo Fincantieri che, grazie alla profonda conoscenza del settore e le soluzioni proposte insieme ai propri partner, è in grado di supportarli in tutte le fasi di questa importante evoluzione.