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Il Green Deal Europeo e gli impatti sul settore marittimo

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Foto di Ellen26 da Pixabay

di Laura Luigia Martini e Alessandro Rogora

(Rinnovabili.it) – Il Green Deal Europeo nasce dal desiderio dell’Unione Europea di rendere, finalmente, operativa la volontà espressa in vari contesti di ridurre le emissioni dei gas serra alla base del riscaldamento globale.

Il tema è stato affrontato con un certo impegno a livello globale per la prima volta durante la Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNCED), informalmente conosciuta come “Summit della Terra”, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992. Il trattato siglato in quell’occasione, noto anche come “Accordi di Rio”, non poneva limiti obbligatori per le emissioni di gas serra alle singole nazioni, rimandando ad ulteriori atti (denominati “protocolli”) la possibilità di definire dei limiti per la sua produzione.

Agli accordi di Rio sono seguiti: il protocollo di Kyoto, pubblicato nel dicembre 1997 nella omonima città giapponese da più di 180 Paesi ed entrato in vigore in febbraio 2005; l’accordo sul clima noto come “Accordi di Parigi” firmato nel dicembre 2015 da 195 paesi di tutto il mondo ed entrato in vigore in novembre 2016. È solo a partire dagli “Accordi di Parigi” che si è cercato di responsabilizzare ogni singolo Paese del mondo sulla necessità di fare di più e meglio per ridurre le emissioni di gas serra: mantenere l’aumento di temperatura globale inferiore ai 2 gradi centigradi, e compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi.

Per rispettare questo limite l’Unione Europea, con la pubblicazione dell’Energy Roadmap 2050 nel dicembre 2011 da parte della Commissione Europea, si è impegnata a ridurre le emissioni di gas serra dell’80%-95% entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990, ed a rispettare obiettivi intermedi per il 2030 e il 2040.

Il “Green Deal Europeo” è l’insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione Europea per tradurre in azioni concrete quanto previsto per fare dell’Europa il primo continente a impatto climatico zero: non tratta solo di emergenza climatica, ma prende in considerazione tutti i settori dell’economia, in particolare i trasporti, l’energia, l’agricoltura, l’edilizia e settori industriali quali l’acciaio, il cemento, i prodotti tessili e le sostanze chimiche. Per realizzare gli obiettivi sono previsti investimenti notevoli, fino a 260 miliardi di Euro annui aggiuntivi, per supportare azioni in tutti i settori dell’economia tra cui: investire in tecnologie rispettose dell’ambiente; sostenere l’industria nell’innovazione; introdurre forme di trasporto privato e pubblico più pulite, più economiche e più sane; decarbonizzare il settore energetico; garantire una maggiore efficienza energetica degli edifici; collaborare con i partner internazionali per migliorare gli standard ambientali mondiali.

Nel 2014 il Consiglio Europeo ha stabilito gli obiettivi parziali dell’Unione Europea in materia di clima per il 2030: una riduzione delle emissioni del 40% rispetto ai livelli del 1990. Nel primo discorso sullo stato dell’Unione, il presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha proposto di portare la riduzione delle emissioni almeno al 55% entro il 2030.

Gli impatti sul settore marittimo di quanto stabilito a livello europeo in materia ambientale si rendono evidenti se si pensa che il trasporto per via navigabile movimenta quasi il 90% di tutto il commercio internazionale: solo nell’Unione Europea più del 75% dei volumi da e verso paesi esteri transita via mare. Nel 2018, 139 milioni di tonnellate di CO2 sono state emesse dalle navi che visitano i porti europei: queste rappresentano circa il 13% delle emissioni totali dei trasporti dell’Unione Europea. A livello globale, il trasporto marittimo emette oltre un miliardo di tonnellate di CO2, che rappresenta il 2-3% delle emissioni totali di gas serra: se il trasporto marittimo fosse uno Stato, sarebbe il sesto più grande emettitore di gas serra al mondo.

Se non venisse adottata alcuna azione per contenere le emissioni, si prevede che queste aumenterebbero tra il 20% e il 120% entro il 2050, trainate dalla crescita economica e dal conseguente aumento della domanda di trasporto di merci e persone, impedendo di raggiungere gli obiettivi posti dalla Commissione Europea.

Le emissioni di gas serra prodotte dalle navi non erano incluse nell’accordo di Parigi del 2015 sul clima. Nel 2018, l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), l’organismo delle Nazioni Unite che regola il trasporto marittimo internazionale, ha adottato una prima strategia sui gas serra per la spedizione internazionale cercando di ridurne le emissioni e di eliminarle gradualmente “il prima possibile in questo secolo”, definendo obiettivi meno stringenti rispetto a quelli che si prefigge il Green Deal Europeo: il settore navale è definito “hard-to-abate” (difficile da abbattere) perché il processo di decarbonizzazione prevede ingenti investimenti e tempi lunghi di adozione da parte degli operatori che hanno diverse unità operative da dover adeguare.

Per accelerare il processo di decarbonizzazione e lo sviluppo di navi a zero emissioni, il Parlamento Europeo ha proposto misure per abbandonare l’uso di olio combustibile pesante e per deliberare investimenti urgenti nella ricerca di nuove tecnologie con attenzione all’innovazione, alla digitalizzazione e all’adattamento di porti e navi. Ecco alcune azioni concrete:

  • Supportare l’innovazione nella ricerca di nuove sorgenti energetiche e carburanti alternativi per le navi: sono in corso diverse iniziative per valutare combustibili “verdi” come Gas Naturale Liquido (LNG) ed Idrogeno. Al momento le tecnologie per la loro adozione a bordo nave non risultano ancora mature, né sono disponibili infrastrutture a terra che garantiscano il rifornimento delle navi in banchina. Il meccanismo degli IPCEI (Important Projects of Common European Interest) promosso dalla Commissione Europea mette a disposizione dei fondi per supportare la ricerca applicata e le risorse per l’industrializzazione di queste tecnologie.
  • Sostenere la diffusione dell’approvvigionamento energetico nei porti: ad oggi, quando una nave rimane in banchina deve mantenere i motori diesel accesi per garantire la produzione di energia elettrica necessaria ai servizi a bordo (si pensi alla parte alberghiera di una nave da crociera). Il piano Next Generation EU prevede dei finanziamenti per l’elettrificazione dei porti, noto come “Cold Ironing”, per fare in modo che le navi possano spegnere i motori quando sono in banchina.
  • Indurre gli operatori del settore ad adottare soluzioni “verdi”: il 16 settembre 2020, il Parlamento Europeo ha adottato emendamenti che impongono alle compagnie di navigazione di ridurre su base lineare le loro emissioni medie annue di CO2 relative al trasporto, per tutte le loro navi, di almeno il 40% entro il 2030, con sanzioni in caso di non conformità.

Tenendo conto che la vita media di una nave si aggira intorno ai 30 anni e che sono necessari dai 3 ai 5 anni per la sua progettazione e realizzazione, le unità che vengono studiate oggi saranno quelle che dovranno garantire gli obiettivi di sostenibilità ambientale previsti non solo al 2030 ma soprattutto al 2050: ecco perché così tanti sforzi profusi a partire dal 2021.

La strada da percorrere per realizzare gli obiettivi che si è posta l’Unione Europea risulta ancora lunga, soprattutto nella definizione delle modalità esecutive: basti pensare che ancora oggi non sono chiare le normative di riferimento per i rifornimenti in banchina dei combustibili alternativi. Nonostante questo, la direzione è sicuramente tracciata: la Commissione Europea sta mettendo a disposizione tutti gli strumenti di propria competenza per agevolare questo importante cambiamento e, soprattutto, rendere economicamente profittevole per gli operatori del settore l’adozione delle tematiche ambientali.

Il futuro del business marittimo è sempre più “verde”.