Per Giappone e Corea del Sud inserire il commercio marittimo nel mercato dei crediti di carbonio UE non riduce le emissioni, alza il rischio di carbon leakage e distorce i mercati
Sulle emissioni navali meglio l’accordicchio dell’IMO
(Rinnovabili.it) – Giappone e Corea del Sud si schierano contro l’idea di Bruxelles di inserire il comparto shipping globale nel nuovo mercato dei crediti di carbonio europeo (ETS). E sostengono che la decarbonizzazione delle navi è possibile seguendo una strada meno accidentata. Quella tracciata dall’IMO e dall’accordo sul taglio delle emissioni navali siglato la settimana scorsa.
“Il Giappone ritiene che l’estensione dell’ETS europeo alle spedizioni internazionali non sia la migliore via per il futuro, indipendentemente dal fatto che l’ambito sia limitato al solo trasporto intra-UE o meno”. Così il governo di Tokyo si rivolge alla Commissione, in un documento datato 24 novembre.
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Perché questa bocciatura? Ufficialmente, il Giappone sostiene che l’incorporazione del trasporto marittimo nel sistema di scambio dei crediti di carbonio europeo “non produrrà effetti ambiziosi di riduzione delle emissioni”, oltre a non affrontare “il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”. Nel complesso la mossa che Bruxelles sta preparando già dallo scorso marzo sarebbe “una distorsione significativa nel trasporto marittimo globale e negli scambi che coinvolgono paesi terzi non UE”.
A cui fa eco quella della Corea del Sud. Per Seul l’applicazione dell’ETS al trasporto marittimo internazionale “avrà ripercussioni negative sia sull’integrità ambientale che sulla sostenibilità del trasporto e del commercio marittimo globale”. Lo sostiene il governo in un documento presentato nell’ambito delle consultazioni pubbliche dell’UE sulla riforma dell’ETS.
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Ma i due paesi, entrambi con una fortissima industria navale e totalmente dipendenti dal trasporto marittimo per il commercio, sono da sempre tra i paesi più restii a riformare il comparto tagliando le emissioni navali. Tokyo e Seul hanno invece appoggiato l’accordo raggiunto di recente dall’agenzia Onu che si occupa del trasporto marittimo, l’IMO. Che non taglia le emissioni almeno fino al 2030, anzi permette che crescano di pari passo con l’aumento del tonnellaggio attivo nel prossimo decennio.
E fa sua la proposta avanzata dall’industria. Quella di una tassa di 2 $/t di carburante che l’industria pagherebbe per finanziare un fondo di ricerca da 5 mld in 10 anni sulle nuove tecnologie per decarbonizzare il comparto. Un fondo a cui dovrebbero partecipare in seconda battuta anche gli Stati. E che potrebbe quindi drenare soldi pubblici per sovvenzionare la transizione ecologica dell’industria, anche se in modo più o meno mascherato.
Se l’Ue aggiungesse soltanto le rotte marittime domestiche all’ETS, il tetto annuale salirebbe di 48 mln di t di CO2. Con l’allargamento anche a quelle internazionali, invece, si aggiungerebbero quasi altri 100 mln di t di CO2/anno. Con i prezzi attuali delle quote, circa 28 euro, gli introiti dalle rotte internazionali sarebbero 2,7 miliardi di euro. Che sarebbero impiegati per la transizione energetica europea.