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Decarbonizzare il trasporto marittimo: la strategia Eni 

Decarbonizzare trasporto marittimo
Foto di Chris Pagan su Unsplash

In collaborazione con Eni

Una roadmap per la decarbonizzazione marina

Tra i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni decisi dall’IMO e l’iniziativa comunitaria FuelEU Maritime, anche per il trasporto marittimo è cominciata la corsa verso il net zero. Ma come per altri settori, la transizione energetica del comparto navale non è una superstrada dritta. Assomiglia piuttosto ad un fiume ricco di affluenti, in cui ogni contributo è determinante. Ecco perché, per immaginare una strategia realistica, efficiente e sostenibile di decarbonizzazione del trasporto marittimo non basta fissare il punto d’arrivo. Al contrario è necessario mettere a sistema le competenze di tutti gli stakeholder per disegnare il percorso tappa dopo tappa. 

E’ quello che ha fatto Eni lo scorso 11 luglio a Roma portando allo stesso tavolo armatori, aziende produttrici di motori navali, certificatori, rappresentanti della logistica energetica, associazioni di settore e Amministrazione Pubblica. L’appuntamento è stato l’occasione per presentare la roadmap per la decarbonizzazione del settore marino, frutto del lavoro multidisciplinare di oltre 40 esperti del comparto. Tre intensi mesi di lavoro che sono serviti a disegnare la rotta verso le zero emissioni, analizzando il contesto normativo, il mercato navale, l’evoluzione tecnologica dei motori e la disponibilità, anche in termini infrastrutturale, di vettori energetici a ridotta intensità carbonica.

Decarbonizzare il settore marittimo tra obblighi e norme 

L’ultimo studio sui gas serra pubblicato dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO) riportava una domanda di energia per il settore navale globale di quasi 11 exajoule nel 2018, fornita al 99% da combustibili fossili. Nonostante negli anni l’intensità di carbonio – ossia i gas serra emessi in relazione alla quantità di carico trasportato e la distanza percorsa – sia notevolmente migliorata, oggi il comparto è responsabile di oltre 1 miliardo di tonnellate di CO2 equivalente l’anno; pari al 2,89% delle emissioni globali annuali di gas a effetto serra. 

Di fronte a questi numeri le nuove normative di settore impongono un impegno preciso. In Europa a partire dal 2024 l’industria marittima entrerà a far parte dell’ETS, compensando economicamente percentuali crescenti delle proprie emissioni, fino a coprire coprire il 100% della COeq. nel 2026. Con un capitolo a parte per i viaggi da e verso il Vecchio Continente. Sempre in Europa, l’iniziativa FuelEU Maritime, parte del pacchetto Fit For 55, ha fissato per le imbarcazioni con una stazza superiore alle 5.000 tonnellate un programma di riduzione graduale dell’intensità dei gas serra dell’energia usata a bordo. Si partirà da un meno 2% nel 2025 per arrivare ad un meno 80% nel 2050.

Ma le pressioni per la decarbonizzazione dei trasporti marittimi arrivano anche dal contesto globale. Il 7 luglio l’International Maritime Organization delle Nazioni Unite ha pubblicato la strategia di riduzione delle emissioni navali. Il documento è frutto di un lungo lavoro di negoziazione tra i da 170 paesi aderenti all’IMO e prevede che lo shipping si impegni a raggiungere la neutralità di carbonio “nel o attorno al 2050”. Definendo però anche checkpoints indicativi a breve e medio termine: un taglio del 20%-30% delle emissioni serra entro fine decennio e del 70-80% per il 2040, prendendo i valori del 2008 come base.

È indubbio che il percorso di decarbonizzazione navale rappresenti una sfida e che la pluralità di regole non la stia rendendo più semplice. La flotta mondiale è grande ed ha un’età media di poco più di 22 anni che rende complesso il processo di retrofit. E nonostante si stiano sperimentando nuovi vettori biogenici e sintetici, il 99% dei mezzi è alimentato quasi esclusivamente da carburanti fossili, come combustibile pesante (HFO), gasolio marino (MGO), olio combustibile a bassissimo tenore di zolfo (VLSFO) e, su più piccola scala, gas naturale liquefatto (GNL). A livello di motori la scelta preponderante è quella dei mono fuel ma sta anche avanzando progressivamente la domanda di dual fuel a GNL anche in vista di un futuro affiancamento di vettori più puliti.. 

L’unione fa la forza

Da dove cominciare, allora? Lo spiega Eni che ha deciso di muoversi in anticipo rispetto alle molte istanze per disegnare una strategia concreta, efficiente e condivisa con tutti i portatori di interesse. “Stiamo mettendo assieme tutti gli attori coinvolti nel trasporto marittimo per costruire il miglior processo di transizione energetica”, ha spiegato Giuseppe Ricci, Direttore Generale Energy Evolution di Eni. “Abbiamo visto cosa è successo con l’automotive. Quando si è parlato di riduzioni delle emissioni del trasporto su strada si è subito pensato all’elettrificazione e non c’è stata la capacità da parte di chi costruisce le auto e di chi produce i vettori energetici di mettersi insieme a priori e studiare un percorso di decarbonizzazione che fosse sostenibile non solo per il clima ma anche per la tenuta sociale e le infrastrutture”.

E proprio partendo da questa lezione, Eni ha voluto coinvolgere tutte le parti in causa, compresi i produttori di motori e chi gestisce i porti, per aprire un confronto diretto e una collaborazione in cui ognuno mettesse a disposizione il proprio know how. Un approccio a 360° per un problema complesso che richiede un’integrazione di competenze. “Così è stato possibile creare quel networking che è venuto meno nel trasporto terrestre, portando a fattore comune tutte le esperienze e specificità dei vari segmenti”, ha aggiunto Ricci. Il primo passo di questo impegno è quello presentato al Convegno, un documento frutto di tre mesi di lavoro da parte degli esperti Eni, Confitarma e Assarmatori, Wärtsilä, WinGD, MAN Energy Solutions, Unem, Federchimica/Assogasliquidi, Assocostieri e RINA.

Tempi e vettori energetici per la decarbonizzazione

Il risultato è un lavoro multidimensionale e multidisciplinare, necessario all’industria ma anche a chi nella pratica dovrà definire le norme e i regolamenti. Lo studio ha preso in considerazione la flotta navale attuale e futura, le tecnologie propulsive (mono fuel e dual fuel), i vettori energetici disponibili, il loro prezzo e le loro prestazioni, ma anche le relative esigenze infrastrutturali e il costo delle emissioni.

Sulla carta le opzioni sono molteplici. Come ricordato dagli autori dell’analisi, oggi esiste una lunga lista di prodotti con interessanti potenzialità ai fini della decarbonizzazione del settore marittimo. Dai biocarburanti come l’HVO e il FAME alle versioni bio del GPL e del GNL, dall’ammoniaca al metanolo, dai carburanti sintetici (e-fuel) all’idrogeno. Ma non tutti potranno giocare un ruolo rilevante da subito, sia per una questione prettamente di maturità tecnologica che per via del necessario sviluppo infrastrutturale e di filiera. La transizione energetica marittima per dimensioni e caratteristiche avrà bisogno di evolversi strada facendo per tenere assieme sostenibilità, competitività e sicurezza.

Nel breve termine (2030-2035) l’opzione più verde, accessibile, economica e flessibile è rappresentata dai biocarburanti liquidi e gassosi già presenti sul mercato, e in particolare l’HVO, acronimo di Hydrotreated Vegetable Oil. I suoi punti di forza? E’ ottenuto dalla lavorazione di lipidi di scarto rinnovabili, può essere utilizzato già oggi nei motori in miscela al 50% con carburanti tradizionali senza modifiche tecnologiche, ma si presta anche all’uso in purezza nei nuovi motori. Ma soprattutto permette di raggiungere riduzioni nelle emissioni di CO2eq tali da rispettare gli obblighi normativi immediati così come quelli a medio e lungo termine. A titolo di confronto il suo impiego permette di abbattere tra il 60 e il 90% delle emissioni di carbonio (in funzione della tipologia di carica biogenica) rispetto al carburante tradizionale sull’intero ciclo di vita. E a differenza di vettori energetici come l’ammoniaca o l’idrogeno, non richiede modifiche infrastrutturali o logistiche.

Discorso non troppo dissimile per il biocarburante FAME (metil-estere di acidi grassi), prodotto attraverso la transesterificazione di oli vegetali. Quest’ultimo, tuttavia, a fronte di una decisa economicità offre però prestazioni più scadenti in quanto si tratta di un prodotto meno stabilizzato, che richiede particolari operazioni di movimentazione all’interno delle navi.

Sempre sul breve termine un ruolo potenziale lo ha anche il GNL. In questo caso le sfide si focalizzano più che altro sulla domanda, le infrastrutture e ovviamente le emissioni, sebbene più basse di quelle carburanti navali tradizionali. E in futuro sistemi di cattura della CO2 a bordo delle navi potrebbero dare un’ulteriore mano. Il bio GNL alleggerirebbe sicuramente l’impronta di carbonio ma andrebbe incrementata l’offerta e abbassati i costi.

Lo studio annovera tra le opzioni per il medio termine il metanolo – interessante soprattutto se prodotto da rifiuti – ma oggi ancora troppo costoso ed energeticamente impegnativo.

Sono considerate opzioni per il lungo periodo invece l’ammoniaca e l’idrogeno ma con tutte le sfide del caso: dall’abbattimento dei costi tecnologici a questioni prettamente ambientali e di sicurezza. Su tempi lunghi si muovono anche gli e-fuels, per i quali tuttavia si prevede invece uno sviluppo per lo più legato al trasporto terrestre, che lascerà ben poco spazio alle imbarcazioni.

Come sottolineato da Maurizio Maugeri, Head Sustainable B2B Coordination, Energy Evolution di Eni, il lavoro svolto ha portato alla redazione “di un documento di orientamento. Un punto di arrivo ma allo stesso tempo anche di partenza. Porta chiarezza su alcuni aspetti  e ci fornisce la base per attivare una fase sperimentale che ci consentirà, da qui ad un anno, di rivederci e verificare se l’analisi ha riscontro nella pratica”.

Il ruolo dell’HVO nella transizione energetica marittima

Dall’analisi, dunque, l’HVO emerge come il vettore favorito. Un risultato che non sorprende dal momento che l’olio vegetale idrogenato rappresenta una soluzione già rodata e disponibile. Un prodotto in grado di accelerare la transizione energetica marittima senza dover aspettare nuovi motori o infrastrutture. In questo campo Eni ha da tempo costruito un solido know-how. La società produce già il biocombustibile nelle sue bioraffinerie di Venezia e Gela attraverso la tecnologia proprietaria Ecofining™ e ha da poco siglato un accordo con RINA per svilupparne assieme l’impegno nel trasporto navale. Un’intesa di ampio respiro che guarda all’immediato ma anche al futuro. L’accordo prevede infatti di sviluppare altri vettori energetici sostenibili, come ad esempio l’idrogeno e l’ammoniaca nella versione verde o blu. E la realizzazione di iniziative che coinvolgano la loro intera catena logistica così come l’adozione di metodologie certificate per il computo “tassonometrico” dei benefici emissivi lungo tutta la value chain.

Non si tratta della sola intesa a favore della decarbonizzazione marittima. A febbraio 2023 l’azienda ha firmato un Memorandum of Understanding con Saipem per utilizzare sui mezzi navali di perforazione e costruzione di quest’ultima, biocarburanti idrogenati. A partire da questa estate, invece, il Gruppo Azimut|Benetti introdurrà il biofuel HVO di ENI in sostituzione del carburante di origine fossile oggi impiegato nei test tecnici dei nuovi yacht, per le prove in mare e per la movimentazione dei modelli prototipo. 

Ma c’è chi ha testato le performance dei biocarburanti navali in tempi addirittura non sospetti. La Marina Militare italiana nel suo programma Flotta Verde già dal 2008, prima in Europea ha sperimentato, validato e certificato un carburante sviluppato in collaborazione con Eni e composto al 50% da HVO. I risultati tecnici hanno convinto gli esperti della forza armata a continuare ed ad affidare oggi alla miscela 50:50 l’alimentazione della storica nave Vespucci nel suo giro intorno al mondo partito il 1° luglio 2023. Con l’obiettivo ultimo arrivare ad un combustibile al 100% con HVO.

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