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Biometano, il tesoro inesplorato del Mezzogiorno

Secondo la ricerca Althesys le aziende agricole del Centro-Sud possono produrre fino a 3 miliardi di metri cubi di biometano

Biometano, il tesoro inesplorato del Mezzogiorno

 

(Rinnovabili.it) – Sono tutte in positivo le cifre che caratterizzano il futuro del biogas nel Sud Italia. A rivelarle è Althesys che, in un nuovo studio presentato stamane a Giarre, provincia di Catania, illustra le direttrici di sviluppo per il biometano nel Mezzogiorno. L’occasione è quella offerta dall’incontro Biogasdoneright and soil carbon sequestration organizzato da CIB – Consorzio Italiano Biogas e dedicato alla sostenibilità della filiera agro-alimentare e alle opportunità offerte da questo prodotto; opportunità non solo come fonte di energia rinnovabile ma anche come strumento di sviluppo di sistemi agronomici più produttivi e sostenibili.

 

Partendo da questa premessa, Althesys ha illustrato il potenziale, in termini ambientali e di crescita economica e occupazionale, della filiera del biogas e del biometano. Si scopre così che nelle regioni del Centro-Sud Italia esiste un “tesoretto” ancora inesplorato che varia tra 2,1 e 3,1 miliardi di metri cubi al 2030. Le ricadute economiche complessive del potenziale sviluppo del biometano valgono, secondo i dati dello studio, un aumento al 2030 dello 0,3 per cento del Pil del Mezzogiorno, ovvero dai 18,4 ai 27,4 miliardi di euro a seconda dello scenario evolutivo. Alto il ritorno dell’investimento: 1 euro investito nel biogas ne produce fino a 4 o 5 di ricadute sull’intera filiera. Le ricadute maggiori sono quelle dell’immissione in rete, fino a 14,3 miliardi di euro, mentre il gettito fiscale potenziale previsto dallo studio è tra i 3,3 e i 5 miliardi di euro.

 

“L’impresa riparte da un modello produttivo ed efficiente – ha spiegato il presidente CIB, Piero Gattoni – In questi cinque anni di lavoro abbiamo dimostrato che investire nella digestione anaerobica significa non solo produrre energia rinnovabile ma anche un modello agricolo capace di valorizzare i sottoprodotti e le colture in rotazione: cioè, ritornare a coltivare il terreno, a fertilizzarlo in maniera organica, riportando il carbonio nel suolo. Noi pensiamo che questo sia un modello che possa essere preso da esempio anche in Sicilia, trovando l’integrazione vincente tra attività agroalimentare e differenziazione di energia rinnovabile”.