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Biofuel: scoperti gli enzimi che velocizzano la decomposizione della biomassa

(Rinnovabili.it) – I ricercatori del Department of Energy Joint Institute Genomica (JGI) hanno scoperto una serie di enzimi in grado di pretrattare le materie prime necessarie alla produzione di bio-carburanti a temperature più elevate rispetto a quelle normalmente impiegate nei processi di produzione. Temperature elevate sono sinonimo di reazioni chimiche più veloci, che a volte però causano danni alla struttura delle proteine. Di conseguenza organismi che operano a temperature elevate hanno bisogno di particolari enzimi resistenti alla denaturazione (ossia alla destrutturazione) con il vantaggio di “lavorare” più velocemente e ridurre i tempi e i costi di produzione dei carburanti a base vegetale.

Nel campo della produzione dei biocarburanti la sfida più grande è la conversione della cellulosa, ossia degli zuccheri primari contenuti nelle comuni biomasse, in zuccheri semplici che possono fermentare. Per fare questo gli scienziati hanno preso in prestito dalla natura alcuni enzimi per una serie di studi volti a velocizzare i meccanismi.

Attualmente la formazione degli enzimi avviene ad una temperatura compresa tra 20 e 35 °C. Tuttavia questi enzimi  processano la materia molto lentamente lasciando spazio al fenomeno della contaminazione, che riduce ulteriormente la resa facendo aumentare il prezzo del biocombustibile. Per ovviare a tali problematiche gli scienziati si sono concentrati nella ricerca di enzimi in grado di lavorare a temperature molto più elevate. Durante gli studi hanno quindi identificato con successo alcuni enzimi confrontando i genomi della Thielavia terrestris e della Muceliophthora thermophila, funghi che prosperano in ambienti dove le temperature superano i 45 °C. “Gli enzimi termostabili possono apportare vantaggi economici nella produzione di molte sostanze chimiche e di combustibili che derivano dalla biomassa perchè i funghi termophili decompongono la biomassa degradando i polisaccaridi vegetali” ha dichiarato il ricercatore Igor Grigoriev .

 

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