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Biodisel, come fronteggiare la concorrenza sleale?

Maria Rosaria Di Somma rivela che, sotto l'aumento dei flussi d’importazioni a basso costo, la produzione italiana dovrebbe scendere nel 2011 di circa 18 per cento

(Rinnovabili.it) – L’Italia è uno dei maggiori produttori, di biodiesel nell’UE-27, dopo Germania, Francia e Spagna, eppure le previsioni per il comparto non sembrano essere delle più rosee. Di fronte a una capacità potenziale di circa due milioni di tonnellate, le aziende nostrane possono in realtà offrire una produzione effettiva di sole 600mila tonnellate. I dati in questione sono stati riferiti da Maria Rosaria Di Somma, direttore generale di Assocostieri-Unione Produttori Biocarburanti, agli organizzatori del XIX° Isaf, il Simposio sul biofuel, in programma a Veronafiere dal 10 al 14 ottobre. Le compagnie di biodiesel italiano utilizzano per lo più materie prime importate, compreso l’olio di palma e di colza, ma negli ultimi due anni sono state duramente colpite da un import di biofuel a basso costo – da paesi come Argentina, Canada, Malesia, Brasile e Stati Uniti – a volte addirittura più conveniente delle materie prime stesse.

Di Somma ha segnalato infatti che le importazioni di biodiesel sui volumi totali immessi al consumo è passato da quota 29% del 2008 al 51% del 2010, rischiando di arrivare addirittura al 70% entro la fine del 2011. Il problema principale, secondo il numero uno dell’Assocostieri è da ricercare in una politica di dazi che ne sta distorcendo il mercato. Molti dei maggiori produttori mondiali sono agevolati da imposte di export più favorevole mentre, in Italia, la produzione di biodiesel paga ancora un’aliquota di tassazione maggiore. La conseguenza, rivela Di Somma è che “buona parte dell’obbligo di utilizzo di biocarburanti viene infatti soddisfatto con biodiesel proveniente da Paesi extracomunitari”. Il consiglio è quello di attivare, al pari di altri Paesi Europei come Belgio, Grecia, e Francia politiche nazionali di settore attraverso agevolazioni fiscali o particolari incentivi, che argino la crescente “concorrenza sleale”.