Per la decarbonizzazione dei trasporti pesanti saranno principalmente i biocarburanti a giocare un ruolo chiave, soprattutto in questa prima fase della transizione ecologica. In Europa, attualmente le tecnologie più mature sono legate al biodiesel e al biometano.
Contenuto realizzato nell’ambito del progetto CNR 4 Elements
di Patrizio Tratzi e Valerio Paolini
Il settore dei trasporti è uno dei principali responsabili delle emissioni di gas a effetto serra a livello globale e in Europa: nel 2018 il 24,6% delle emissioni in Europa potrebbe essere attribuito ai trasporti, e il 26,5% di queste è rappresentato da autocarri e autobus pesanti. Al fine di contenere i cambiamenti climatici e ridurre l’impatto dei trasporti su tali emissioni, l’UE mira a promuovere mezzi di trasporto più sostenibili, puntando alla decarbonizzazione del settore, principalmente attraverso tre approcci: si incoraggia il trasporto ferroviario, la produzione di autovetture a basse emissioni, e l’uso di biocarburanti. Ad oggi, circa il 93% dei trasporti è alimentato da prodotti derivati dal petrolio, e questo evidenzia la necessità di diversificazione in questo settore, puntando su veicoli elettrici e fonti energetiche rinnovabili. Nel 2020, nonostante il calo generalizzato delle immatricolazioni di autovetture a causa dell’emergenza COVID-19, i veicoli elettrici ibridi (HEV) hanno rappresentato l’11,9% delle vendite totali di autovetture in Europa, con un aumento significativo rispetto al 5,7% del 2019, mentre i veicoli a carica elettrica (ECV) hanno aumentato la loro quota di mercato passando dal 3% nel 2019 al 10,5% nel 2020 (dati European Automobile Manufacturers’ Association, ACEA). Per quanto riguarda l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili nel settore dei trasporti, la direttiva europea n. 2001 del 2018 ha fissato un obiettivo del 14% entro il 2030. Inoltre, stabilisce che entro il 2030 almeno il 3,5% del consumo finale di energia nel settore dei trasporti da biocarburanti avanzati, definiti in generale come combustibili derivati da rifiuti o biomasse non alimentari, quali letame animale, frazione organica dei rifiuti solidi urbani o sottoprodotti agricoli. Tra il 2018 e il 2019 è stato stimato un aumento del 6,8% del consumo di biocarburanti e l’Europa in generale nel 2018 era già conforme ai suoi obiettivi di consumo di biocarburanti attestandosi al 99,7%.
In questo contesto, mentre per le flotte urbane la decarbonizzazione sarà principalmente legata alla trazione elettrica, il contributo dei biocarburanti nella transizione ecologica sarà strettamente legato al tema del trasporto pesante su lunghe distanze, dove l’elettrificazione non può essere immediatamente realizzata. Infatti, mentre le autovetture elettriche stanno già espandendo la loro quota di mercato in ambito urbano, i veicoli pesanti elettrici devono ancora superare diverse sfide legate al loro specifico utilizzo: la bassa densità energetica delle batterie comporta infatti dei limiti di autonomia che li rendono non ancora compatibili con il trasporto su lunghe distanze di merci pesanti. Nel breve-medio termine, questo problema renderà le batterie non utilizzabili per i trasporti pesanti a lungo raggio, finché non sarà superata questa barriera tecnica. Considerazioni analoghe valgono per altre tecnologie alternative non ancora abbastanza mature come le celle a combustibile e l’idrogeno.
Di conseguenza, per la decarbonizzazione dei trasporti pesanti saranno principalmente i biocarburanti a giocare un ruolo chiave, soprattutto in questa prima fase della transizione ecologica. In Europa, attualmente le tecnologie più mature sono legate principalmente al biodiesel e al biometano.
Il biodiesel ha la quota maggiore tra i biocarburanti in Europa. Attualmente sono attivi diversi percorsi per la produzione di biodiesel, e mentre il biodiesel di prima generazione è ancora fortemente rappresentato anche a livello globale, dal punto di vista ambientale i più promettenti sono il biodiesel da alghe e da rifiuti. Considerando le emissioni di gas serra allo scarico, il biodiesel può essere considerato carbon-neutral, poiché questo biossido di carbonio deriva dalla combustione di materiale a base biologica diverso dai combustibili fossili. Il tipo di biomassa utilizzata per la produzione di biodiesel influenza l’impatto globale sull’ambiente. Inoltre, il biodiesel può comportare maggiori emissioni di inquinanti locali, che dipendono dalle caratteristiche del motore e del carburante: il maggiore contenuto di ossigeno, un rapporto carbonio/idrogeno meno ottimale e la presenza di doppi legami giocano un ruolo fondamentale nelle caratteristiche di emissione dei motori alimentati a biodiesel.
Il biometano è un’altra opzione per la decarbonizzazione del settore dei trasporti e può anche soddisfare i requisiti per i biocarburanti avanzati fissati dall’Unione Europea. Le emissioni totali sono valutate con una metodologia detta “well-to-wheels” (WTW, letteralmente “dal pozzo alla ruota”): il riferimento europeo per le analisi WTW è il rapporto periodico del JEC, il consorzio di ricerca congiunto di JRC, CONCAVE ed EUCAR. Questi rapporti valutano le emissioni di gas serra e il fabbisogno energetico dei biocarburanti e delle loro diverse combinazioni; dal 2020 sono inclusi anche gli autocarri pesanti. Questa analisi del JEC ha dimostrato che il biometano liquefatto provoca una delle maggiori riduzioni di gas serra per i camion pesanti e a lungo raggio, soprattutto perché permette di evitare emissioni legate alla gestione degli effluenti zootecnici.
È però importante precisare che l’analisi JEC, essendo una pubblicazione a livello europeo, si basa su una generalizzazione dei diversi dati nazionali: ad esempio, utilizza un valore medio europeo per il mix energetico, il trasporto di materie prime e combustibili, e la simulazione della catena di produzione. Entrando nel merito dei diversi Stati Membri, l’Italia potrebbe essere potenzialmente il candidato perfetto per il forte sviluppo della filiera del biometano, a causa della bassa produzione interna di gas naturale, della già ampia flotta di veicoli alimentati a gas e del suo mercato del biogas sviluppato. Già nel 2017 era stata stimata una produzione potenziale di 8,5 m3/anno per il 2030, da uno studio effettuato da SNAM Rete Gas in collaborazione con Confagricoltura e Consorzio Italiano Biogas. È importante sottolineare che nella produzione di biometano nazionale, oltre ai rifiuti solidi urbani e ai fanghi di depurazione, un rilevante contributo è fornito dal biogas agricolo, in particolare letame, sottoprodotti agricoli e raccolti di seconde colture.
Rispetto all’Europa, l’Italia mostra anche un’elevata predisposizione all’uso del biometano nel settore dei trasporti: una grande percentuale di tutte le stazioni europee di rifornimento a metano compresso e liquefatto si trovano in Italia: rispettivamente il 35% (1413 stazioni) e il 24% (96 stazioni). Ciò è conseguenza della maggiore quota di autovetture e veicoli commerciali leggeri a metano attualmente circolanti in Italia rispetto all’Europa, che sono rispettivamente del 2,4% e del 2,3% in Italia e dello 0,5% per entrambe le tipologie in Europa. La quota dei mezzi pesanti a gas naturale in Italia è invece in linea con il valore europeo dello 0,4%.
Per meglio approfondire gli impatti e i benefici ambientali del biometano liquefatto nei trasporti pesanti in Italia, è stato recentemente condotto uno studio del CNR-IIA in collaborazione con IVECO e Consorzio Italiano Biogas: lo studio si è concentrato sul biometano liquefatto da diverse combinazioni di biomasse agrozootecniche, in presenza e in assenza di cattura della CO2 durante la fase di upgrading. L’analisi ha evidenziato ancora una volta l’importanza dei crediti di carbonio per valutare correttamente l’impatto dei biocarburanti: le emissioni evitate dalla gestione del letame e dei sottoprodotti agricoli sono infatti il principale fattore che contribuisce a minimizzare le emissioni nette del biometano. L’impatto ambientale del biometano è quindi fortemente influenzato dal tipo di biomasse utilizzate per l’alimentazione del digestore anaerobico, e i maggiori benefici ambientali si hanno quando aumenta la percentuale di effluenti zootecnici. Le maggiori emissioni di gas serra sono associate al consumo di energia elettrica per le fasi di upgrading e liquefazione, ma il processo globale risulta sempre vantaggioso rispetto ai carburanti fossili, anche grazie alla elevata percentuale di energia rinnovabile nel mix energetico italiano. In particolare, è possibile ottenere emissioni negative se gli effluenti zootecnici sono maggiori del 60% e se si introduce il recupero della CO2 dell’uprading per uso alimentare.
Rimangono ad oggi due questioni che necessiteranno ulteriori approfondimenti nei prossimi anni. La prima è la valutazione degli impatti ambientali dalla culla alla tomba di ogni fase della catena di produzione proposta, inclusa la realizzazione degli impianti e delle infrastrutture di distribuzione, e il successivo smantellamento. Il secondo è la fattibilità economica dell’intera filiera, considerando i costi di produzione e il conseguente costo del carburante per l’utente finale, con o senza incentivi pubblici.
di Patrizio Tratzi e Valerio Paolini, CNR-IIA