Con l'approvazione a Montecitorio del nuovo disegno di legge di Delegazione europea, passa anche la deadline per l'impiego dei due oli vegetali nella produzione di biocarburanti e nella generazione elettrica
(Rinnovabili.it) – Un passo avanti per le foreste e la biodiversità. Con queste parole Legambiente e Transport&Environment commentano la nuova norma italiana sui biocarburanti inserita nel ddl di delegazione europea. Il provvedimento è stata approvato ieri dall’aula della Camera, dopo l’ok ricevuto al Senato. E tra le modifiche inserite nel passaggio parlamentare, alcune novità riguarda da vicino il comparto energetico. A partire da quelle sull’articolo che modifica la metodologia di calcolo per la determinazione dell’energia prodotta dai biocarburanti e dai bioliquidi. Nel dettaglio nel testo legislativo è stato inserito il seguente passaggio:
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(Disposizioni per esclusione di talune materie prime dagli obblighi di miscelazioni combustibile diesel e dalla produzione elettrica rinnovabile)
“Sono esclusi dal 1 gennaio 2023 dagli obblighi di miscelazione al combustibile diesel e dalla produzione elettrica rinnovabile, così come dal relativo conteggio delle fonti rinnovabili e dai sussidi di mercato, le seguenti materie prime in ragione delle evidenze sugli impatti causati in termini di deforestazione, come descritti nella relazione tecnica che accompagna il suddetto atto delegato:
- olio di palma, fasci di frutti di olio di palma vuoti, acidi grassi derivanti dal trattamento dei frutti di palma da olio (Pfad);
- b) olio di soia e acidi grassi derivanti dal trattamento della soia di importazione”.
Lo stop agli oli di soia e palma porta l’Italia un passo avanti nella lotta ai biofuel di prima generazione. La stessa che ha intrapreso l’Unione Europea, ma quest’ultima con tempi molto più dilazionati. Con una direttiva del 2018, l’UE ha fissato, infatti, l’impegno ad eliminare gradualmente il sostegno ai biocarburanti ad alte emissioni entro il 2030. “Alte” perché, a dispetto dell’immagine verde data a questi prodotti, la combustione di oli di soia e palma può comportare emissioni di CO2 doppie o addirittura triple rispetto a quella del gasolio fossile (ricerca della Commissione Europea).
Senza contare che si tratta di una risorsa sovrasfruttata, legata alla deforestazione selvaggia di Indonesia e Malesia, e tolta alla catena alimentare. Basti pensare che nel 2018, il 65% di tutto l’olio di palma importato nell’UE è stato utilizzato a fini energetici. Solo l’Italia ha consumato poco più di 1 milione di tonnellate di olio di palma per la produzione di energia (dato 2019): metà è finito nei serbatoi dei veicoli, il resto nelle centrali elettriche. Il tutto incentivato con almeno 700 milioni di euro l’anno.
Lo stop italiano soffre dunque un’ottimo primo passo avanti. Ora, spiegano le associazione ambientaliste, il testo dell’intero ddl di delegazione europea, passerà di nuovo al Senato, poi al governo che presenterà la proposta completa di decreto legislativo sulle rinnovabili ai due rami del Parlamento entro l’estate per l’approvazione finale. “Speriamo di averla al più tardi entro la fine dell’anno, se non altro per evitare ulteriori procedure di infrazione europee. Contiamo che la fine ai sussidi dannosi agli olii di palma e di soia divenga finalmente legge anche in Italia, come in Francia, Danimarca, Austria, Olanda, Svezia e Portogallo. Vigileremo sul governo perché l’obiettivo si realizzi, anche con l’aiuto del gruppo informale di deputati e senatori stop palmoil”.