Da tempo il governo spinge sui biocarburanti come opzione complementare – ma in realtà in larga parte alternativa – all’elettrificazione per decarbonizzare il settore dei trasporti. Uno sforzo che emerge anche al G7 Ambiente di Torino. Nonostante le criticità di questa scommessa
La Carta di Venaria riconosce un “ruolo” per il “fuel switching”
L’Italia continua a scommettere sui biofuel come soluzione per decarbonizzare i trasporti. C’è anche questa opzione nella Carta di Venaria, la dichiarazione finale del G7 Ambiente di Torino del 29-30 aprile. Inserita su proposta e insistenza del governo italiano, che l’ha promossa – soprattutto a livello nazionale ed europeo – come via complementare all’elettrificazione e in nome della neutralità tecnologica.
“I biocarburanti sostenibili possono e devono fornire un contributo fondamentale alla decarbonizzazione del settore trasporti a livello globale”, sottolineava il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto durante un evento dedicato ai biofuel a margine del G7 Ambiente di Torino. Le ragioni per percorrere questa strada, secondo il titolare del MASE, sono “maggiore sicurezza energetica, facilità di integrazione negli attuali sistemi di logistica, stoccaggio e distribuzione del carburante nonché utilizzazione nei veicoli esistenti, promozione di una logica di economia circolare e creazione di valore per le comunità locali, favorendo pratiche agricole e forestali sostenibili”.
Il G7 Ambiente di Torino non dimentica i biocarburanti
È proprio l’opzione biofuel quella su cui l’Italia ha puntato nei mesi scorsi per scardinare l’impianto dello stop europeo ai veicoli diesel e benzina entro il 2035. Raccogliendo pochi consensi e vedendosi sbarrare la strada sia per i mezzi leggeri che per quelli pesanti. E la stessa dichiarazione finale del G7 continua a mettere in chiaro che “l’elettrificazione è la tecnologia chiave per decarbonizzare il trasporto stradale”.
Affermazione a cui però viene aggiunto che “anche la sostituzione dei combustibili svolge un ruolo”. Alla vigilia del G7 Ambiente di Torino alcune decine di associazioni industriali e di settore avevano lanciato un appello affinché fosse riconosciuto un ruolo importante ai biocarburanti. Con il Turin Joint Statement on Sustainable Biofuels del 28 aprile si invitava Roma a “considerare i biocarburanti sostenibili e le relative catene del valore tra i principali pilastri della decarbonizzazione dei trasporti insieme all’elettrificazione, all’efficienza energetica e ad altri combustibili sostenibili”. A firmare il comunicato, tra le realtà italiane, Assitol, Assobiodiesel, Assocostieri, Coldiretti, Consorzio Italiano Biogas, ENEA, ENILive, RSE, Iveco.
Per il governo e gli attori interessati allo sviluppo della filiera dei biofuel, si tratta di puntare su un’alternativa alla mobilità elettrica. Diverse le ragioni addotte, da quelle più aspre – le auto elettriche come imposizione di Bruxelles che graverà inutilmente sulle tasche degli italiani – a quelle più sofisticate come l’evitare di finire fagocitati dal primato della Cina sugli EV.
Dietro questa manovra, spiega Carlo Tritto di Transport & Environment in un intervento su Domani, c’è però il rischio di rallentare, volontariamente o meno, la transizione all’elettrico. Le filiere dell’elettrificazione dei trasporti e dei biocarburanti sono in competizione e si rischia di rendere il comparto automotive ancora meno attrattivo per gli investimenti se si punta in modo forte sui biofuel, visto che i principali produttori auto mondiali sono da anni ben lanciati sull’elettrificazione e hanno tutti piani strategici coerenti con questa scelta. Poi, continua Tritto, c’è il problema della scalabilità dei biocarburanti, con i quantitativi che possono essere realisticamente prodotti che restano molto limitati. E anche la motivazione della sicurezza energetica per il momento non sembra così convincente, visto che oggi l’80% degli olii esausti di cottura – la principale materia prima dei biofuel italiani – viene dalla Cina.