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Troppi biofuel affondano la decarbonizzazione delle navi

Incentivare i carburanti elettronici verdi realizzati con idrogeno verde. Porre un tetto ai biocarburanti di origine alimentare. E escludere i biocarburanti legati alla deforestazione. Sono i consigli di Transport & Environment per modificare il Global Fuel Standard dell’Organizzazione Marittima Mondiale e garantire una transizione sostenibile per il settore

Biofuel insostenibili: 10 anni di disattenzione europea
Foto di Євген Литвиненко da Pixabay

Meno CO2 (apparentemente), ma più deforestazione. Con tutte le conseguenze che ne derivano. Le nuove regole sulle emissioni delle navi dell’Organizzazione marittima mondiale (IMO) rischiano di avere un impatto insostenibile sull’ambiente. Trainato dal ricorso ai biofuel navali. E al boom di olio di palma e soia necessari per produrli.

“Alimentare le navi cargo con la deforestazione è una pessima idea”, sottolinea Constance Dijkstra, ricercatrice di Transport&Environment, che pubblica oggi uno studio sul tema realizzato insieme a Cerulogy. “Bruciare i raccolti per ottenere carburante è dannoso per il pianeta e per la sicurezza alimentare globale. L’IMO dovrebbe considerare l’impatto climatico dei biocarburanti cattivi per evitare di fare più danni che benefici”.

Una configurazione sostenibile per i biofuel navali

Tutto dipende dai requisiti contenuti nel Global Fuel Standard (GFS) dell’IMO, lo strumento ideato per guidare la riduzione delle emissioni navali e decarbonizzare un settore che oggi genera il 2% dei gas serra globali. Ma che, di questo passo, salirà al 10% del totale mondiale nel 2050. E che ha emissioni in crescita: tra 2012 e 2023 sono aumentate del 15%.

Il problema del GFS, secondo T&E, è che mancano criteri chiari sui biofuel navali. Senza i quali, la scelta delle compagnie e delle aziende che li producono potrebbe ricadere sulle opzioni con maggiore impatto ambientale. E visto che nel 2030 il 36% dei viaggi navali potrebbe avvenire grazie a biocarburanti, come questi sono prodotti è dirimenti.

Cosa succederà? Le dinamiche di mercato suggeriscono che il 60% del biodiesel marittimo prodotto nel 2030 potrebbe derivare da olio di palma e soia, oggi le opzioni più economiche per rispettare il GFS. Ma entrambi i materiali sono fortemente legati alla deforestazione.

A conti fatti, sostiene T&E, il ricorso ai biofuel navali “sbagliati” potrebbe aumentare le emissioni dell’87% rispetto alle opzioni basate su carburanti interamente fossili. L’area necessaria per aumentare a sufficienza la produzione di biocarburanti per le navi sarebbe di 35 milioni di ettari. Tanto quanto la Germania. Con un chiaro conflitto in vista con la sicurezza alimentare.

Che fare? Ci sono alcuni vincoli imprescindibili. L’offerta di biocarburanti sostenibili è limitata. I biocarburanti da scarti (come oli esausti e grassi animali) potrebbero alimentare solo il 2,5-3% della flotta marittima. Un’unica nave container tra Cina e Brasile richiederebbe il consumo annuo di olio esausto di 2.000 ristoranti McDonald’s, o il grasso di oltre 1 milione di maiali. Mentre le alternative come biometano e biometanolo sono insufficienti. Potrebbero coprire solo l’1,7% dei carburanti navali nel 2030.

Tutte opzioni che il GFS dovrebbe limitare con soglie chiare e quantificate. Puntando, invece, sull’incentivazione del ricorso a carburanti elettrici, cioè combustibili sintetici ottenuti tramite energia (pulita).

In sintesi, l’IMO dovrebbe:

  • dare una definizione chiara di cosa costituisca un carburante a emissioni “zero” e “quasi zero”,
  • escludere i biocarburanti legati alla deforestazione,
  • porre un tetto ai biocarburanti di origine alimentare,
  • incentivare i carburanti elettronici verdi realizzati con idrogeno verde.

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