Tra le polemiche di chi li accusa d'affamare il pianeta e le paure di chi ci ha investito e teme la stagnazione del mercato, l’Europa si muove cauta e punta sui criteri di sostenibilità
Presentati e sostenuti come una delle soluzioni più efficaci per abbattere la CO2, oggi sono invece sotto un riflettore che ne mette in mostra il lato più critico. Per i biocarburanti non sono tempi facili, da una parte in diatriba con gli approvvigionamenti alimentari e dall’altra in azione per cercare di evitare che il mercato di riferimento vada verso la stagnazione. I criteri di sostenibilità introdotti nei mercati nazionali, infatti, hanno fatto fare enormi passi indietro al consumo di biofuel nell’Unione Europea, passato dal 24,6% del 2009 all’11% del 2010 a causa principalmente del calo di appeal che ha portato i governi europei a non considerare più una priorità l’aumento della quota di biofuel nel mix energetico (dati del Renewable Energy Observatory).
Problematiche, queste, a cui andrebbero ad aggiungersi quelle relative alla produzione di biocarburanti da colture alimentari, una pratica che secondo molti condurrebbe alla fame e alla povertà troppe persone nel mondo. La paura, infatti, è che oltre all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari a livello globale, possano esserci “serbatoi pieni e pance vuote” (Rapporto Oxfam Bad Bio). Paura confermata anche dall’analisi dei Piani di Azione Nazionali, che ha permesso di constatare un incremento significativo nell’uso dei biocarburanti, la maggior parte dei quali ottenuti dalla lavorazione di colture inizialmente dedicate al soddisfacimento dei bisogni alimentari, con una conseguente espansione globale delle aree coltivabili che porterà all’inevitabile conversione di foreste e pascoli in terreni agricoli.
Ma su questo punto la Commissione sembra indietreggiare e su quali saranno le conseguenze di questo orientamento ne abbiamo parlato con il Direttore Generale di Assocostieri – Unione Produttori di Biocarburanti, Maria Rosaria Di Somma.
Vale la pena comunque ricordare che l’industria europea dei biocarburanti ha fatto investimenti che ammontano a 14 miliardi di euro, con una forza lavoro diretta di 100.000 unità che vedrebbero compromesso il proprio posto di lavoro.
Dott.ssa Di Somma, cosa pensa dei limiti che l’UE intende introdurre nell’uso di biocarburanti prodotti da colture alimentari?
La proposta di direttiva sull’impatto indiretto della destinazione d’uso dei terreni intende limitare il contributo dei biocarburanti convenzionali, a favore di quelli con minore impatto ILUC(Indirect Land Use Change), proteggendo gli investimenti esistenti fino al 2020, periodo dopo il quale la Commissione tenderà ad elaborare politiche di sostegno a favore di biocarburanti non prodotti da colture per l’alimentazione, ma riducendo contestualmente la quota di energia da biocarburanti. A distanza di tre anni e al momento del recepimento della Direttiva 20–20-20 nei vari Stati europei, la Commissione prepara una completa marcia indietro sulle sue politiche dei biocarburanti, introducendo, tra l’altro, un tetto del 5% per i biocarburanti di prima generazione, venendo meno all’impegno di ridurre le emissioni di gas serra e la dipendenza dai combustibili fossili e contravvenendo agli obiettivi di crescita sostenibile di sviluppo dell’occupazione. Con tale iniziativa la Commissione Europea interviene in maniera pesante sulla nascente industria i cui investimenti sono stati basati sulla necessità di abbattere le emissioni di gas ad effetto serra e di diversificazione delle fonti di approvvigionamento, nel momento in cui l’industria sta compiendo notevoli sforzi per rispettare i più rigorosi criteri di sostenibilità ambientale imposti sia a salvaguardia delle zone di biodiversità sia a verifica sull’effettivo contributo in termine di riduzione della CO2.
Secondo alcuni studi si tratterebbe di carburanti troppo poco “verdi” rispetto a quanto si è sempre creduto. Crede siano perplessità attendibili?
Ritengo non siano studi tali da rimettere in discussione il beneficio che si ha a livello di riduzione di CO2 dovuta all’utilizzo di biocarburanti. Ridurre l’utilizzo dei biocarburanti significa incrementare il prodotto fossile. A nostro avviso, si tratta di studi di parte e su molti aspetti anche lacunosi, rispetto all’uso e alla disponibilità del suolo, così come all’uso e al volume dei co-prodotti (alimenti per animali). Se noi oggi seguiamo quanto ci viene richiesto dalla Direttiva 20-20-20, che ci impone di ridurre del 10% la CO2 prodotta dall’autotrazione attraverso l’utilizzo dei biocarburanti, possiamo godere del beneficio di utilizzare materie prime vegetali. Per questo immaginiamo che al 2020 ci siano 4 milioni di tonnellate di biocarburanti, che vanno a decurtare il consumo del prodotto fossile. Il progetto di direttiva ILUC, inoltre, non riesce a fornire soluzioni efficaci al problema della gestione del territorio nei Paesi in Via di Sviluppo ed è soltanto un’operazione di facciata per attuare un ridimensionamento dell’utilizzo dei biocarburanti. Per quanto riguarda la polemica tra food e non food, poi, abbiamo più volte dimostrato l’inesistenza di questa competizione. La carenza dei prodotti alimentari, infatti, è legata principalmente al cambiamento delle abitudini alimentari degli asiatici e a fenomeni atmosferici, quali forti siccità per esempio, che hanno ridotto la resa dei terreni.
A che punto è oggi l’Italia nella produzione di biocarburanti e come potrebbe reagire il nostro Paese se l’Europa decidesse di puntare su combustibili verdi avanzati, legati cioè al trattamento dei rifiuti domestici e delle alghe?
In Italia, oggi, vige l’obbligo di utilizzare biocarburanti nella percentuale del 4,5% che sarà portata al 5% entro il 2014. La premialità prevista dalla Direttiva 20-20-20 per i biocarburanti prodotti con materie prime alternative e di seconda generazione, ha portato il comparto italiano a organizzarsi su questa strada, con enormi benefici ambientali. Si tratta di un trend che è legato proprio al premio previsto dalla Direttiva e che coinvolge sia il sistema industriale che quello sociale. Chiaramente prima o poi arriverà anche il ritorno economico di certi investimenti. Un aspetto interessante, poi, che riguarda il nostro Paese è la possibile risoluzione della questione del cambio d’uso del suolo attraverso lo sfruttamento delle zone marginali che, come sostenuto anche dal Ministro Clini, potrebbero al contempo rappresentare un materia prima per i biocarburanti e garantire la manutenzione di suoli altrimenti abbandonati. Il concetto di ILUC, invece, non tiene conto di una serie di pratiche di “mitigazione” del cambiamento indiretto del suolo come, appunto, la produzione di biocarburanti su terreni degradati. L’obiettivo che stiamo cercando di perseguire è quello di dimostrare l’effettiva riduzione di CO2 legata all’impiego dei biofuel, stimolare gli investimenti e raggiungere una sostenibilità certificata di questo prodotto.