Il futuro dei biofuel nostrani si trova nei terreni inadatti all'uso agricolo tradizionale come cave esaurite e discariche chiuse. Potrebbero ospitare colture energetiche senza sottrarre suolo
“In Italia la superficie totale disponibile per le colture bioenergetiche è pari a quasi 2 milioni di ettari: di questi circa 200.000 sono aree pubbliche incolte di cui spesso le amministrazioni pubbliche non sanno cosa fare e che in questa logica rappresentano una risorsa preziosa”, spiega Materia Rinnovabile in una nota stampa. In Europa esiste un progetto che sta esaminando proprio questo aspetto: le potenzialità della produzione di biocarburanti in aree marginali. L’iniziativa si chiama ‘Enhancing biomass production from marginal lands with perennial grasses‘ (GRASSMARGINS) e ha identificato e registrato varietà di erbe sempreverdi Dactylis glomerata, Festuca arundinacea e Phalaris arundinacea – eseguendo una mappa della loro presenza in Europa – da destinare al settore bioenergetico. GRASSMARGINS ha prodotto un’importante banca dati delle informazioni di riferimento geografico sulle specie di erbe sempreverdi relative alla produzione di biomassa su terreni marginali al momento poco sfruttati. Lo scopo finale è stato quello di usare questi dati per informare le aziende e le istituzioni interessate a coltivare e a diffondere maggiormente le erbe sempreverdi resistenti a stress causati da fattori non biologici nell’ambiente.
In tal senso lo sfruttamento delle aree marginali potrebbe dare un contributo significativo allo sfruttamento ottimale del potenziale produttivo italiano, al pari di un’azione decisiva per aumentare la raccolta delle biomasse residuali. Ovvero, per recuperare quegli scarti diffusi, disponibili nel settore agricolo (potature), forestale (residui forestali) e dell’agroindustria (gusci e sanse) che spesso rimangono inutilizzati o distrutti impropriamente.