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Biocarburanti agricoli, l’UE potrebbe dimezzare il target 2030

La Commissione europea ha presentato una proposta per portare il contributo massimo di biocombustibili liquidi “tradizionali” dal 7 al 3,8 per cento nel periodo fra il 2021 e il 2030

Biocarburanti agricoli, l’UE potrebbe dimezzare il target 2030

 

 

(Rinnovabili.it) – L’Unione Europea potrebbe dare un ulteriore taglio all’obiettivo sui biocarburanti agricoli post 2020. Lo rivela la Reuters spiegando che l’esecutivo, impegnato in questi giorni nell’aggiornamento delle direttive riguardati energie e ambiente, avrebbe tra le proposte addirittura il dimezzamento della quantità massima di biofuel di prima generazione, ossia quello ottenuto da colture alimentari o in competizione con esse per i terreni.

Secondo il documento visionato dall’agenzia, Bruxelles intende portare il contributo massimo di biocombustibili liquidi “tradizionali” dal 7 al 3,8 per cento nel periodo fra il 2021 e il 2030.

 

Una misura probabilmente dettata dalle crescenti critiche nei confronti di una scelta – quella di impiegare materie prime edibili per la produzione – rivelatasi nel tempo tutto, fuorché sostenibile. Se da un lato il biofuel di prima generazione ha degli innegabili benefici ambientali, soprattutto in termini di impronta di carbonio netta, dall’altro ha dato via libera nel tempo a coltivazioni intensive di canna da zucchero od olio colza riservate esclusivamente all’industria di carburanti.

E, sicurezza alimentare a parte, i biocombustibili di prima generazione sono legati a doppio filo a fenomeni di land grabbing, deforestazione e agli effetti dannosi del cambio di destinazione del suolo (fattore ILUC – indirect land use change).  Solo nel 2012, l’Unione europea ha dedicato il 3 per cento della sua terra coltivata alla produzione di materie prime per i biocarburanti consumati all’interno del blocco dei 28.

 

La normativa europea sui biocarburanti agricoli

Nel 2009 l’Unione Europea aveva imposto due obiettivi per quanto riguarda i biocombustibili:  ottenerne il 10 % dei carburanti per i trasporti da fonti rinnovabili entro il 2020 (Direttiva sulle energie rinnovabili 2009/28/CE), e obbligare i fornitori a ridurre del 6 % l’intensità delle emissioni a effetto serra dei loro carburanti sempre entro la stessa data (Direttiva sulla qualità dei carburanti 2009/30/CE).  Ma l’incertezza circa le modalità per ridurre al minimo del fattore ILUC e la mancanza di criteri certi per l’individuazione e la certificazione dei sistemi produttivi, ha spinto la Commissione a elaborare un aggiornamento normativo (presentato nel 2012, ma approvato solo lo scorso anno) che stabilisce: “la quota di energia da biocarburanti prodotti a partire dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine od oleaginose e da altre colture coltivate su superfici agricole come colture principali soprattutto a fini energetici, non potrà superare il 7 % del consumo finale di energia nei trasporti all’interno degli Stati membri nel 2020” (Direttiva 2015/1513).

 

Cosa fare però una volta superato il 2020? L’esecutivo UE sa di dover ridurre ulteriormente la quota. Lo ha già messo nero su bianco in una comunicazione del 2014 e le indiscrezioni di oggi lo confermano, ma le pressioni dell’industria del biofuel non tendono ad attenuarsi.  Un recente rapporto della Oxfam ha rivelato che la lobby dei produttori di biocarburanti europei è ora finanziariamente potente come quella del tabacco e che per ogni funzionario in seno alla Commissione europea che lavora sulla nuova politica di sostenibilità delle bioenergie comunitarie, l’industria del biofuel ha sette gruppi di pressione che lavorano per tirare acqua al loro mulino.