di Roberto Antonini
Duro confronto di Carlos Tavares in audizione
Stabilità delle regole ma soprattutto incentivi perché altrimenti le auto elettriche non si vendono. Serve un sostegno perché c’è un 40% di costo in più rispetto alle auto a combustione che il consumatore nella stragrande maggioranza dei casi, anche se ben disposto verso la tecnologia, non riesce a sopportare. E se le auto elettriche non si vendono alla classe media, gli stabilimenti di produzione in Italia – come altrove – non producono a sufficienza. In tutto ciò l’energia in Italia costa troppo e su una situazione in cui in tutta Europa senza incentivi l’auto elettrica non decolla piomba anche l’export low cost cinese, con le loro auto a batteria che escono dallo stabilimento a un costo del 30% inferiore. Questi, in estrema sintesi, alcuni dei messaggi che recapita l’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, in audizione alla Camera, convocato per fornire chiarimenti sulla produzione automobilistica del gruppo in Italia.
In un Paese come l’Italia “ai fini di un sistema produttivo altamente performante è meglio dare sostegno alla domanda– spiega il manager. “Noi non chiediamo soldi per noi, chiediamo a voi di darci un aiuto per i vostri cittadini che così possono acquistare veicoli che si possono permettere, accessibili, non sono soldi che vanno a Stellantis ma soldi che consentono a noi di ridurre i costi. Non parlo di un milione veicoli prodotti ma di un milione di clienti che vanno messi in condizione di poter acquistare un veicolo. La decisione spetta a voi”.
Certo, “sento da parte vostra rabbia, un certo livore”, rileva Tavares riferendosi a deputati e senatori schierati davanti a lui, “lo stesso atteggiamento che hanno i lavoratori. È una situazione molto difficile. I regolamenti decisi, che sono alla base della situazione attuale, non sono stati imposti da Stellantis”.
Costi auto elettrica, quel 40% in più da assorbire
“Abbiamo un piano preciso che ho condiviso con i nostri partner, abbiamo assegnato nuovi prodotti a tutti gli stabilimenti italiani fino al 2030, in alcuni casi al 2033. Ma non basta. Il problema sono i costi troppo alti in Italia, il 40% più alti di quelli che devono sostenere i nostri concorrenti”, spiega Tavares.
Per la decarbonizzazione “la strategia stabilita dalla Ue forse non è necessariamente la migliore per il suo impatto sul Pianeta e sui costi delle società, ma una volta presa la decisione quello che possiamo fare è dare il nostro contributo per raggiungere quegli obiettivi. Dunque, siamo convinti che la strategia migliore, in questo momento, non sia quella di mettersi a litigare sui regolamenti ma di mettersi a lavoro per cercare di raggiungere i risultati migliori”.
Considerando le scadenze “siamo pronti, non chiederemo nessuna modifica, semplicemente chiediamo stabilità rispetto a quanto avete deciso. Abbiamo la tecnologia, gli impianti che garantiscono la possibilità di elettrificare il cambio a doppia frizione, a Mirafiori abbiamo anche vari impianti per le batterie, abbiamo team di engineering per piattaforme BEV. Tutto questo è realtà. C’è solo un problema da risolvere che non è tecnologico, riguarda l’accessibilità a queste tecnologie”: il prezzo in breve.
I consumatori italiani “dicono una cosa molto semplice: volete che io dia il mio contributo nell’affrontare il cambiamento climatico? Volete che compri mezzi elettrici? Li compro ma devono costare come i mezzi a combustione interna, perché come cittadino so che lo stato risolverà i problemi come la rete di ricarica non capillare, un elevato costo dell’energia, il problema dell’efficienza delle reti di ricarica, Il problema esiste, va rimosso”.
Alla fine del percorso, “il concessionario deve poter vendere i veicoli elettrici allo stesso prezzo di quelli a combustione interna, ma i regolamenti dicono che devo usare la tecnologia elettrica, devo per forza inserire il 40% di costo in più, e anche se il sistema non può assorbire un aumento dei prezzi ma io un aumento dei costo ce l’ho”. Un aumento che “crea nella filerà che fornisce la mobilità, una tensione insopportabile”. Ecco, “il cliente vuole l’elettrico ma non vuole assorbire il 40% di costo in più, mentre io devo gestire questo 40% aggiuntivo. Voi leader politici mi dovete dire come faccio a gestire queste tensioni legate all’aumento del costo”
E intanto arriva la Cina
Questo “non è un problema a breve termine ma a lungo”, avverte Tavares. Ed ecco che mentre lo affrontiamo “si verifica un altro fatto: in Cina c’è eccedenza di capacità, la saturazione degli stabilimenti, in Cina hanno un eccesso di produzione e la loro economia non cresce come vorrebbero. Cercano di risolvere, come fanno? Esportano, arrivano dei concorrenti, gli Stati uniti si proteggono subito, si chiudono a riccio e l’Unione europea cerca di fare la stessa cosa. Ma mentre noi cerchiamo di assorbire quel 40% di aumento dei costi, i cinesi hanno un 30% di vantaggio competitivo sul loro outsorcing”.
Significa, spiega l’ad Stellantis, che “quando i veicoli escono dai loro stabilimenti costano il 30% in meno, e questo e non fa che aumentare ulteriormente la pressione sull’industria dell’auto italiana con un nuovo shock da assorbire, con la pressione del nuovo concorrente, l’automotive cinese”. Ciò detto, “anche se avessimo forme di tutela, con quote di mercato e tariffe, dovremmo comunque affrontare la concorrenza dei cinesi. Come Stellantis dobbiamo poter competere coi cinesi, perché prima o poi li dovremo affrontare, in altri continenti, e anche se fossimo in un ambiente protetto in Europa a un certo punto dovremmo esportare”. Questo, sottolinea Tavares, “è il tipico caso dell’Italia, il 63% export dei veicoli che produciamo in Italia lo esportiamo”.
E se il resto del mondo compra tecnologia che il nostro Paese non vuole, come faremo a esportare? “In Europa c’è una notevole frammentazione tra chi accetta e chi no l’auto elettrica, in Italia e Spagna il mix vendite fra elettrico e no è a favore della combustione interna, nei Paesi scandinavi l’elettrico ha una quota maggiore, ma se vogliamo esportare all’estero dobbiamo produrre auto che i mercato esteri vogliono, se produciamo solo auto che vuole il mercato italiano avremo difficoltà con l’export, con l’Italia che va in direzione diversa da quella in cui vanno altri Paesi”.
Gigafactory, Termoli resta privilegiata ma…
Passando al tema della Gigafactory a Termoli: “noi pensiamo di aver bisogno di 3 o forse 4 Gigafactory in Europa se l’Europa diventa un mercato al 100% sull’auto elettrica a batterie, si tratta di un investimento enorme”, precisa Tavares. “La nostra idea è investire, ma questa capacità è utile solo se c’è domanda, se non c’è domanda non facciamo nessun investimento in un piano poi inutilizzato. Va tutto misurato sulla domanda del mercato, sulla velocità in cui riusciamo a usare le batterie. Ora dobbiamo lavorare per essere sicuri che quando sarà necessario avremo tutta la capacità necessaria. Non è un caso che le Gigafactory siano in siti dove si producono motori a combustione perché se c’è incertezza sul passaggio allora c’è un’alternativa fra le due tecnologie”, se una non va avanti l’altra.
“Una strategia presa anche in altri paesi per non rallentare la transizione. Molti Paesi vogliono le Gigafactory ma Termoli è sicuramente il sito privilegiato”, garantisce Tavares, “Termoli è nei nostri piani”.
Il costo dell’energia pesa più del lavoro
Quando si parla di competitività e razionalizzazione del sistema “molti pensano a chiusure di attività operative e licenziamenti. Noi quando guardiamo i divari tra Paesi ci sono differenze notevoli, divari significativi. Anche quando non inseriamo il costo del lavoro tali divari tra Paesi europei restano. Una cosa che emerge in Italia è che qui il costo dell’energia è molto elevato, doppio rispetto alla Spagna, anche se annullassimo il costo del lavoro ci sarebbe una variazione notevole”.
Ciò detto, “abbiamo diversi impianti in Italia, abbiamo un piano preciso e l’attività per quanto riguarda l’allocazione dei veicoli questa è assicurata fino al 2030 e al 2033 in alcuni casi, ma c’è un problema non risolto, perché non posso assegnare un nuovo veicolo a ogni impianto, non posso assegnarlo oltre il 2030, e non posso ignorare elemento costo del veicolo, dipende dalla produttività, dalla velocità con cui assorbiremo quel 40% di costi aggiuntivi. Dobbiamo capire costi e tempi dell’assorbimento di quel 40% proprio per capire il prezzo futuro dei veicoli e proteggere i nostri margini, e non mettere in pericolo la nostra azienda. Ma se non capisco il livello di prezzo al quale potrò vendere i veicoli non sono in grado di capire se potrò vendere alla classe media e se quindi potrò creare volumi significativi per gli impianti per portarli alla giusta velocità di crociera”.
Insomma, “tutto dipende dai costi, se vogliano mantenere attività impianti industriali dobbiamo vendere veicoli a prezzo accettabili alla classe media”, dice Tavares, e “se non garantiremo prezzi accessibili non avremo i volumi necessari e se non avremo in volumi necessari non potremo riempire i nostri impianti”. Ad esempio, “la produzione della 500e in Italia è precipitata a causa della fine degli incentivi ai consumatori, per questo abbiamo deciso di portare la tecnologia altrove”.
Inoltre l’azienda “ha deciso di introdurre l’ibrido su 500 a Mirafiori […] abbiamo lavorato per ridurre il tempo di attraversamento, per garantire che la vettura uscirà da Mirafiori a fine 2025, cosa che era prevista solo per il 2026, invece probabilmente succederà già a fine 2025″.
In definitiva, “stiamo affrontando tanta incertezza ma la nostra strategia 2030 è duttile e flessibile e questo rappresenta una tutela potente per il futuro” e “Stellantis è una tutela rispetto all’ambiente caotico che è stato creato”.