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La transizione alla mobilità sostenibile peggiora la nostra qualità della vita?

Un modello basato su 120 città globali calcola il massimo taglio possibile delle emissioni di gas serra generate dai trasporti sulla base di 4 approcci di base alla mobilità sostenibile. In 15 anni emissioni giù anche del 31%. Se non si vuole sacrificare nulla sul fronte del welfare, il taglio può arrivare comunque al 22%

Mobilità sostenibile: abbattere le emissioni, non la qualità della vita
Foto di Linus Ekenstam su Unsplash

Lo studio condotto dal Mercator Research Institute on Global Commons and Climate Change di Berlino

(Rinnovabili.it) – Siamo così abituati a pensare alle auto come a una parte indispensabile della nostra vita che ogni proposta di cambiare il modo di muoversi in città viene accolto da scetticismo se non da vere e proprie proteste. Eppure mobilità sostenibile e vivere bene in ambito urbano non sono in contraddizione. Lo dimostra uno studio condotto dal Mercator Research Institute on Global Commons and Climate Change di Berlino: è possibile ridurre in 15 anni le emissioni auto del 22% senza cedere di un millimetro sulla qualità della vita.

Mobilità sostenibile sotto attacco

La difesa a oltranza dell’auto (endotermica) sta diventando uno dei temi più caldi della transizione ecologica. In parte perché tocca da vicino la maggior parte delle persone (perlomeno nei paesi a economia avanzata). In parte perché la politica cavalca il tema spesso solo per un tornaconto di consenso nel breve termine.

Le roboanti dichiarazioni di molti esponenti del governo italiano in questi mesi, mentre si riapriva in Europa il dossier dello stop ai motori diesel e benzina entro il 2035, sono un buon esempio. L’alternativa, cioè l’auto elettrica, viene presentata come una roba da ricchi – anche se la parità di costo con le endotermiche è prevista per il 2026, cioè dopodomani – o nei casi più estremi come un tentativo mascherato di abbassare la qualità della vita dei cittadini.

Se quest’ultima versione suona come una tesi complottista contro la mobilità sostenibile è perché è proprio quello. Negli ultimi mesi, ad esempio, hanno ripreso vigore tutta una serie di teorie del complotto che indicano l’idea della Città dei 15 minuti – una pianificazione urbana tale per cui tutti i servizi di prossimità devono essere raggiungibili entro 15 minuti a piedi, coi mezzi pubblici o con la mobilità dolce – come un tentativo di imporre un fantomatico “lockdown climatico”, impedendo alla gente di uscire dal proprio quartiere, da parte di una presunta “dittatura globale”.

-22% in 15 anni

Lo studio di Mercator controbatte queste tesi mettendo sul tavolo i dati lavorati da un modello basato su 120 città globali e che tiene conto di molti fattori tra cui densità abitativa, uso del suolo, dimensione degli appartamenti, affitti, costi del trasporto pubblico. Al modello viene chiesto di calcolare quanto può essere consistente il massimo taglio delle emissioni dei trasporti applicando uno o più tra 4 approcci: una tassa sui carburanti, auto più efficienti, investimenti nel tpl e sviluppo urbano con un occhio al clima.

Il risultato? In 15 anni, applicando congiuntamente tutti e 4 gli approcci, sarebbe possibile tagliare le emissioni dei trasporti del 31%. Ma la qualità della vita perderebbe tre punti percentuali. I ricercatori di Mercator hanno chiesto quindi al modello di calcolare la massima riduzione possibile di gas serra senza sacrificare il welfare. Il risultato è che è comunque possibile abbattere le emissioni del 22%, sempre in 15 anni, mantenendo un aumento dell’1% della qualità della vita.