Lo stop alla Fiat 500 elettrica è la spia di un mercato che non decolla per diverse ragioni
Il colosso automobilistico franco-italiano Stellantis, ha annunciato la sospensione della produzione della Fiat 500 elettrica per quattro settimane. A partire da oggi, le linee produttive si fermeranno fino a metà ottobre. Sulla decisione pesa la mancanza di ordini in Europa, che riflette il rallentamento delle vendite di veicoli elettrici a livello globale. Tra le cause, le diverse politiche sugli incentivi nei vari paesi.
La Fiat 500 elettrica dovrebbe essere prodotta nello storico stabilimento di Torino Mirafiori. Ma ora tutto potrebbe cambiare. Stellantis ha spiegato che la misura è necessaria a causa delle difficoltà che stanno colpendo l’intero mercato europeo. L’azienda ha ribadito il suo impegno per superare questa delicata fase di transizione.
Oltre alla sospensione temporanea, Stellantis ha annunciato investimenti per 100 milioni di euro nello stabilimento torinese, che includeranno lo sviluppo di una nuova batteria ad alte prestazioni e la produzione di una versione ibrida della 500, prevista per il 2025-2026. I sindacati, che da tempo chiedono un rinnovamento del sito, vedono in questo progetto una speranza per rilanciare l’occupazione e la produzione locale.
A livello internazionale, la situazione dei veicoli elettrici è complicata anche dalle tensioni commerciali tra l’Unione Europea e la Cina. Recentemente, l’UE ha proposto dazi sull’importazione di veicoli elettrici cinesi, suscitando preoccupazioni per una possibile guerra commerciale. Il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, ha sollecitato ieri un ripensamento della politica europea. “Non abbiamo bisogno di una nuova guerra, in questo caso, una guerra commerciale”, ha detto Sanchez.
I dazi, annunciati a fine agosto, dovrebbero essere attivati entro la fine di ottobre. Il timore di alcuni paesi riguarda una ritorsione da parte della Cina. Negli ultimi mesi, Pechino ha avviato diverse indagini anti-dumping su prodotti europei, tra cui la carne di maiale, di cui la Spagna è il maggiore esportatore in UE. All’inizio di luglio, 11 paesi hanno approvato le aliquote provvisorie proposte da Bruxelles, mentre quattro hanno votato contro e nove si sono astenuti. Di fronte all’avvicinarsi della data chiave, le maggioranze potrebbero cambiare.