La quota a rischio di nuova capacità di produzione di celle per auto elettriche scende rispetto all’anno scorso. Ma resta molto alta. Gap critici anche nello sviluppo di alcuni segmenti – soprattutto la produzione di catodi. Grazie al riciclo e all’estrazione domestica, l’Europa può ottenere già nel 2030 tutto il litio di cui ha bisogno. Cosa funziona e cosa no nel tentativo europeo di riportare nel vecchio continente la catena di fornitura delle batterie EV?
L’onshoring delle batterie EV, rispetto a una catena dominata da Pechino, taglierebbe le emissioni del 60%
Riportare in Europa la catena di fornitura delle batterie EV – oggi controllata in larga parte dalla Cina – taglierebbe le emissioni del 37%. E fino al 62% se il processo di produzione impiega energia rinnovabile. L’intensità di carbonio oggi batte intorno ai 120 kg di CO2 equivalente per kWh (kgCO2eq/kWh), ma potrebbe scendere, rispettivamente, sotto gli 80 e appena sopra i 40 kgCO2eq/kWh. In 6 anni, da qui al 2030, l’onshoring delle batterie per auto elettriche farebbe risparmiare 133 milioni di tonnellate di CO2 complessive. L’equivalente di circa 1/3 delle emissioni generate in un anno dall’Italia.
Batterie EV in Europa, metà della capacità annunciata è a rischio
Ma l’idea di ricalibrare sul vecchio continente la catena delle celle e dei loro componenti, per ora, è ancora traballante. Secondo un’analisi di Transport & Environment pubblicata il 13 maggio, meno della metà (il 47%) della produzione di batterie agli ioni di litio prevista per l’Europa da qui al 2030 è sicura. La tendenza migliora, grazie agli sforzi di Bruxelles e dei Ventisette per accelerare sull’onshoring in risposta alle misure dell’Inflation Reduction Act introdotto negli Stati Uniti. Un anno fa la quota che poteva essere considerata a rischio era circa il 60%.
Tutto questo, però, non basta per mettere l’Europa al riparo. Oggi il restante 53% della capacità produttiva di batterie EV annunciata, pari in tutto a 1,7 TWh al 2030, “è ancora a rischio medio o alto di essere ritardata, ridotta o cancellata” in assenza di più sostegno da parte dei governi, stima T&E. La capacità non a rischio arriva a circa 815 GWh, abbastanza per 13,6 milioni di EV.
Autosufficienza possibile già nel 2026-2030
Puntando sull’espansione delle gigafactory, l’Europa potrebbe produrre abbastanza celle per soddisfare la sua intera domanda già nel 2026, e produrre la maggior parte (il 56%) delle componenti fondamentali (come i catodi) e delle materie prime (il litio) entro la fine del decennio. Ricavando anche una buona quota dei minerali necessari tramite il riciclo: l’8% del litio, il 13% del manganese, il 14% del nickel e il 27% del cobalto.
Ma il rischio è più alto proprio più ci si sposta verso i segmenti mid e upstream. “Sebbene esistano piani per costruire strutture per materiali catodici attivi in tutta Europa, queste hanno avuto uno sviluppo minore rispetto alle celle”, nota il rapporto, e così l’Europa si trova davanti “gap critici” in termini di sviluppo dei progetti.
Cosa serve per potenziare l’onshoring europeo delle celle per EV?
Come mettersi sulla traiettoria giusta e arginare la competizione cinese e statunitense? Per T&E la priorità è assicurarsi che l’industria continui ad avere un orizzonte di policy stabile per investire. È fondamentale, spiega il rapporto, che gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei veicoli tra 2025 e 2035 rimangano invariati. È proprio sullo stop alle auto endotermiche nel 2035, però, che negli ultimi anni si è concentrata gran parte della frustrazione dei Ventisette per le politiche europee per la transizione.
Secondo punto: mettere in campo politiche che premino la nuova capacità produttiva europea se adotta elevati standard di sostenibilità. Accompagnate da nuovi strumenti, più agili, per gli investimenti garantiti dalla BEI e dall’EU Battery Fund.