Rinnovabili • Valutazione del rischio climatico: banche usano modelli “irrealistici”

I modelli delle banche per la valutazione del rischio climatico sono “irrealistici”

Strumenti costruiti in modo analogo a quelli per la valutazione del rischio economico-finanziario non prendono in considerazione che il cambiamento climatico non è una dinamica lineare, ma può passare per accelerazioni brusche e innescare processi che si autoalimentano, aggravando il riscaldamento globale

Valutazione del rischio climatico: banche usano modelli “irrealistici”
Foto di Nicholas Cappello su Unsplash

Il rapporto di Finance Watch analizza gli strumenti in uso per valutare il rischio climatico

(Rinnovabili.it) – Le banche usano modelli di valutazione del rischio climatico “irrealistici” che le rendono impreparate ai possibili shock causati dalla crisi climatica. Il punto debole sta nel ricorrere a strumenti che sono costruiti in modo analogo a quelli già usati per soppesare il rischio finanziario. Ma in questo modo non mettono in conto che il climate change non è un processo lineare e progressivo.

Da questa valutazione del rischio climatico mancano dinamiche centrali come i punti di non ritorno (tipping point) e i meccanismi di feedback positivo. Ovvero quelle soglie oltrepassate le quali si innescano brusche accelerazioni e cambiamenti che si autoalimentano. Lo sostiene un rapporto di Finance Watch.

Le falle nella valutazione del rischio climatico

“I rischi economici del cambiamento climatico sono attualmente modellati in modo simile ai tradizionali rischi finanziari. Ma a differenza delle perdite finanziarie del passato, le perdite derivanti dal cambiamento climatico saranno dirompenti, imprevedibili e permanenti, si legge nel documento. I punti di non ritorno e i meccanismi di feedback, come lo scioglimento del permafrost, il rallentamento della circolazione meridionale dell’Atlantico e gli incendi delle foreste potrebbero accelerare le perdite a livelli molto superiori a quelli derivanti dalle recenti crisi finanziarie”.

Uno studio recente del PIK di Potsdam rileva che superare la soglia di 1,5 gradi – come faremo molto probabilmente quest’anno, stando sulla traiettoria per sforarla stabilmente già dal 2029 – aumenta del 72% il rischio di innescare tipping point. L’ultimo rapporto dell’IPCC pubblicato nel 2021 assegnava un livello di criticità molto alto a uno dei tipping point, quello dello scioglimento del permafrost, ritenendo molto probabile che possa liberare in atmosfera ingenti quantità di metano (stimate fra le 3 e le 41 Gt per ogni grado di aumento della temperatura).

“Gli aspetti centrali delle metodologie di questi modelli economici risalgono agli anni ’90 e dominano ancora il pensiero politico, portando spesso a risultati assurdi”, continua il rapporto, citando come esempi scenari climatici in cui, secondo la scienza attuale, sarebbero a rischio estinzione almeno l’80% delle specie tropicali e si potrebbe arrivare al collasso di alcuni ecosistemi, mentre secondo questi modelli l’impatto sull’economia sarebbe una flessione del valore degli asset minore del 10%.