Un rapporto dell’Asian Development Bank calcola che gli effetti della nuova tassa sulla CO2 alla frontiera voluta da Bruxelles saranno solo marginali. Sia sul taglio delle emissioni globali: le ridurranno solo dello 0,2%. Sia sull’economia, dove a essere danneggiati saranno un po’ tutti. La soluzione? Introdurre un CBAM anche in altri mercati
Il CBAM europeo è in vigore in via provvisoria da ottobre 2023
(Rinnovabili.it) – Il nuovo sistema europeo di tariffe sulle importazioni carbon-intensive che partirà nel 2026 riuscirà solo marginalmente a tagliare le emissioni globali. E danneggerà – anche se non in modo significativo – sia le economie dei paesi che esportano in Europa sia quelle dei Ventisette. Avrebbe molto più effetto sulla riduzione di gas serra mantenere il mercato del carbonio attuale su prezzi almeno di 100 euro a tonnellata di CO2. Perché sia realmente efficace, il nuovo strumento UE – il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) – dovrebbe essere replicato sistematicamente anche in altre regioni, non a macchia di leopardo come si prospetta oggi.
Il CBAM fa parte del pacchetto legislativo Fit for 55 ed è attivo, in una prima fase di rodaggio, da ottobre 2023. La tassa sulla CO2 alla frontiera decisa da Bruxelles si applica alle importazioni di prodotti ad alta intensità di carbonio, ovvero cemento, ferro, acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno. Per il momento le aziende importatrici hanno solo l’obbligo di rendicontare volumi e gas serra incorporati.
A regime, tra 2 anni, quando la CO2 incorporata nei prodotti importati supera il tenore di quella consentita per i prodotti made in UE scatterà una tariffa sulle importazioni carbon-intensive. Due gli obiettivi: tutelare le aziende europee se sottoposte a regole ambientali più stringenti dei concorrenti e spingere gli altri paesi ad adottare legislazioni su clima e ambiente analoghe a quella UE.
Gli effetti delle tariffe sulle importazioni carbon-intensive
Secondo un’analisi dell’Asian Development Bank (ADB) pubblicata oggi, tuttavia, il CBAM è un’arma spuntata. Per lo meno nella sua configurazione attuale. La sua entrata in vigore, calcola il rapporto, riuscirà a ridurre le emissioni di gas serra globali di appena lo 0,2% rispetto a un mercato del carbonio con prezzi di 100 euro per tonnellata e nessuna tariffa sul carbonio. Allo stesso tempo, le tariffe sulle importazioni carbon-intensive potrebbero ridurre le esportazioni globali verso l’UE di circa lo 0,4% e le esportazioni asiatiche verso l’UE di circa l’1,1%. Sarebbe danneggiato anche il giro d’affari di alcuni produttori europei.
La soluzione non è buttare a mare il CBAM ma esportarlo in altri mercati. “La natura frammentata delle iniziative di tariffazione del carbonio in termini di settori e regioni coperti, incluso il CBAM, può limitare solo parzialmente la delocalizzazione delle emissioni di carbonio”, sottolinea Albert Park, economista dell’ADB. “Per ridurre significativamente le emissioni di carbonio a livello globale, assicurando allo stesso tempo che gli sforzi climatici siano più efficaci e sostenibili, le iniziative sulla tariffazione del carbonio devono essere estese ad altre regioni al di fuori dell’UE, in particolare all’Asia”.