di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – Aumento delle temperature, progressiva acidificazione, inquinamento, pesca eccessiva. Diverse sono le cause che mettono le barriere coralline in prima fila tra le vittime dell’inquinamento del mare. L’International Union for Conservation of Nature (IUCN) ha inserito il corallo tra le specie a rischio.
Stando alle stime più recenti, si è perso circa il 50% dei coralli negli ultimi trent’anni e le previsioni per il futuro sono ancora più cupe: solo il 10% di essi potrebbe essere ancora in vita dopo il 2050, fino a scomparire del tutto nel 2100.
Le barriere coralline soffrono gli stress ambientali
Le barriere coralline segnalano il loro cattivo stato di salute con lo sbiancamento, un fenomeno che si sta verificando sempre più spesso. Gli estesi incendi che si sono verificati nelle ultime due estati bollenti hanno provocato un effetto a catena nel mare: aumento di gas serra, surriscaldamento delle temperature e aumento del tasso di acidità.
Quindi le barriere coralline soffrono gli stress ambientali. Lo stress termico, in particolare, le porta a espellere le alghe che vivono nei loro tessuti, sono responsabili della loro colorazione e forniscono loro il fabbisogno energetico per la calcificazione, la crescita e la riproduzione. I coralli recuperano la normalità solo se lo stress è di breve durata, in caso contrario sono destinati a morire.
Poiché le barriere coralline sono uno degli ecosistemi marini più ricchi di biodiversità, alcuni ricercatori hanno tentato perfino di trapiantare i coralli allevati in laboratorio nelle barriere coralline in agonia, ma le condizioni gravemente compromesse del loro habitat sembrano rendere vano questo esperimento.
Inoltre, proteggere le barriere coralline vuol dire proteggere gli oceani e i milioni di persone che vivono in aree costiere che sarebbero maggiormente esposte all’erosione e alla violenza delle mareggiate.
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Strutture di supporto con la stampante 3D
Una soluzione interessante potrebbe venire dagli studi che stanno conducendo i ricercatori della KAUST – King Abdullah University of Science and Technology: il restauro delle barriere coralline creando le strutture di supporto su cui far crescere i coralli con la stampante 3D.
Finora sono stati utilizzati come substrato blocchi di cemento o strutture metalliche, ma il rispristino è molto lento perché i coralli depositano il loro scheletro di carbonato di calcio al ritmo di pochi millimetri l’anno.
L’idea alla base dello studio del gruppo di ricerca della KAUST, guidato da Charlotte Hauser, è quella di fornire alle barriere coralline un substrato simile a quello naturale affinché possano riprendersi più velocemente.
Come spiega Hamed Albalawi, uno degli autori dello studio, «i microframmenti di corallo si sviluppano più rapidamente sulle superfici di carbonato di calcio stampate o modellate che creiamo per farli crescere perché non hanno bisogno di costruire una struttura calcarea sottostante».
Sviluppare un processo più vicino a quello naturale
Il 3D CoraPrint, sviluppato dal team della KAUST, utilizza un inchiostro ecologico e sostenibile a base di carbonato di calcio fotoiniziato (CCP). I test negli acquari hanno dimostrato che il CCP non è tossico, ma i ricercatori stanno comunque pianificando dei test a lungo termine.
A differenza dei sistemi finora sperimentati, basati sulla colonizzazione passiva della struttura di supporto stampata, 3D CoraPrint prevede il fissaggio di microframmenti di corallo allo scheletro stampato per avviare il processo di colonizzazione.
La sperimentazione prevede l’impiego di due diversi metodi di stampa, che iniziano entrambi con un modello scansionato di uno scheletro di corallo. Nel primo metodo, il modello viene stampato e la stampa viene quindi utilizzata per realizzare uno stampo in silicone. La struttura finale viene prodotta riempiendo lo stampo con inchiostro CCP. Nel secondo metodo, la struttura di supporto viene stampata direttamente utilizzando l’inchiostro CCP.
I due metodi hanno vantaggi complementari: se uno permette una riproduzione più veloce ma di dimensioni limitate, l’altro è più lento e con una risoluzione inferiore, ma permette di creare strutture più grandi.
L’obiettivo finale rimane comunque di creare un processo che sia più vicino possibile a quello naturale per salvare le barriere coralline e il loro ecosistema.