Rinnovabili • Patto globale sulla natura: ancora flop per la COP15 sulla biodiversità Rinnovabili • Patto globale sulla natura: ancora flop per la COP15 sulla biodiversità

E’ possibile proteggere la biodiversità con l’utilizzo dei dati

Un modello matematico messo a punto dall’Università del Michigan consente di combinare i dati di alcune specie per fornire informazioni su altre: secondo i ricercatori potrebbe essere utile a proteggere la biodiversità

Patto globale sulla natura: ancora flop per la COP15 sulla biodiversità
Foto di Albrecht Fietz da Pixabay

di Rita Cantalino

(Rinnovabili.it) – Un gruppo di ricerca dell’Università del Michigan ha sviluppato un modello matematico che può aiutare a monitorare e proteggere la biodiversità. Il modello parte dall’analisi di dati facili da ottenere, “a basso costo” per derivarne di altri più complessi. In natura alcune specie sono più numerose o facili da osservare di altre, ma in base ai dati prodotti sulle prime si possono dedurre informazioni sulle seconde. Lo studio, pubblicato sulla rivista Conservation Biology, è stato condotto da Matthew Farr, ricercatore post-dottorato presso l’Università di Washington, insieme a Elise Zipkin, professoressa associata di biologia integrativa e direttore del programma Ecologia, Evoluzione e Comportamento dell’ateneo, che ha raccontato lo scopo della ricerca: “Stiamo sviluppando approcci per stimare più rapidamente cosa sta succedendo con la biodiversità, quali specie sono in difficoltà e dove, spazialmente, abbiamo bisogno di concentrare i nostri sforzi di conservazione.”

Proteggere la biodiversità attraverso i dati: il modello funziona

Il modello è stato convalidato con l’osservazione di diverse specie di antilopi in Africa, ma il gruppo di ricerca si dice certo che possa essere valido per molti altri animali, anche se non per tutte le specie. Si basa su quelli che sono definiti dati di rilevamento non rilevamento: osservazioni sulla presenza o meno di determinati animali in determinati habitat. “Sono i dati più economici e più facili da raccogliere” ha spiegato Zipkin: “Si va in un posto, si aspetta e vede quali animali ci sono, per registrare quali specie si vedono”.

I dati sono raccolti di persona dai ricercatori o attraverso fototrappole che rivelano i movimenti; le foto vengono poi analizzate e da queste vengono derivati i dati. “Questo – spiega la ricercatrice – ci permette di calcolare ogni sorta di cose sugli animali e le loro comunità, ma i dati sono costosi e difficili da ottenere. Per certe specie è impossibile”. 

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In genere le specie più sfuggenti sono proprio quelle che bisogna maggiormente proteggere per garantire la biodiversità. Lo studio è partito dall’ipotesi che si potesse colmare il divario di informazioni a partire dai dati di rilevamento non rilevamento di altre, utilizzando dei modelli statistici. “Per alcune specie – ha detto Farr – questi sono i migliori dati che si possono ottenere”.

La storia di questo modello parte da lontano

Lo studio ha degli antecedenti nella ricerca condotta nel 2003 da J. Andrew Royle e James D. Nichols, che hanno ideato un collegamento matematico tra l’abbondanza di una specie e la probabilità del suo rilevamento. A partire da questo modello, nel 2016 il laboratorio di Zipkin ha stimato i tassi di sopravvivenza e riproduzione di un caso studio: la specie del gufo barrato. 

Il lavoro di Farr ha fatto progredire la ricerca collegando le dinamiche di popolazioni diverse nelle stesse comunità. Il tutto funziona partendo da una serie di ipotesi, come quella – tenuta dai ricercatori – che le specie individuate fossero territoriali e non viaggiassero molto. 

A quel punto, visto che il modello funzionava, gli studiosi hanno cercato specie reali a partire dalle quali convalidarlo. La scelta, anche grazie al contributo di Timothy O’Brien, un ecologista in pensione esperto di trappole fotografiche, è ricaduta sulle antilopi, in particolare quelle note come Duiker. 

L’osservazione ha dimostrato che il loro comportamento confermava il modello: sono state monitorate 12 specie di antilopi, di cui alcune più abbondanti di altre, all’interno di sei parchi nazionali in Africa, dove le antilopi duiker sono protette. 

Anche se non può riguardare tutte le specie, il modello ha dimostrato di essere in grado di dare un importante contributo nella raccolta di informazioni su molte di queste, anche tra le più sfuggenti. Calcoli di questo genere potrebbero fornire dati puntuali sullo stato di salute di molti gruppi di animali, dati che, se sottoposti alle autorità, potrebbero indurre ad azioni utili a proteggere la biodiversità laddove essa sia in pericolo.