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Coronavirus nelle acque reflue: il tracciamento dei contagi comincia nelle fogne

L’idea rilanciata dalla presidente della Regione di Madrid Diaz Ayuso: così abbiamo fatto prevenzione e messo a punto dei mini-lockdown

Coronavirus nelle acque reflue
Foto di Domianick da Pixabay

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – Il coronavirus, l’emergenza sanitaria e la crisi sanitaria. Un altro lockdown generalizzato sarebbe una nuova condanna per l’economia. Potrebbe essere il momento per dei mini-lockdown dove esplodono i focolai, o addirittura dove si stima potrebbero esserci. Un aiuto per stabilire le aree esposte potrebbe arrivare dalle fogne. E più precisamente dal monitoraggio delle acque reflue. A riportare in alto l’attenzione è stata la presidente della Regione di Madrid Isabel Diaz Ayuso che – in un’intervista sul Corriere della sera – ha messo in evidenza come “la Comunidad di Madrid aveva limitato i lockdown ad aree più piccole, solo dove il virus circolava, lasciando le altre libere”, proprio grazie all’osservazione dell’evolversi del virus basandosi anche sul monitoraggio delle fognature.

Un modo – ha spiegato Diaz – più difficile, ma più efficace e meno costoso: tanto che dal 27 settembre all’11 ottobre il tasso di diffusione si è almeno dimezzato nei quartieri che avevamo chiuso. Per questo la presidente madrilena ha raccontato che prima di condannare alla stagnazione economica 6 milioni di cittadini facendo così le diffusioni del Covid-19 “sarebbero stati gestibili”, con il metodo Madrid “misuriamo il virus nelle acque reflue. Abbiamo capito che sopra una certa soglia, entro 48 ore esploderà un focolaio. Siamo stati in grado di chiudere preventivamente”.

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Un’iniziativa del genere è in effetti anche nelle corde del nostro Paese. Già a luglio aveva preso avvio la rete ‘sentinella’ di sorveglianza epidemiologica del coronavirus nelle acque reflue urbane, a partire da alcune località turistiche. Si chiama Sari (Sorveglianza ambientale reflue in Italia). Con il coordinamento tecnico-scientifico dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e del Coordinamento interregionale della prevenzione, commissione Salute, della Conferenza delle Regioni e delle province autonome, una rete di strutture territoriali analizzerà la presenza di tracce di Sars-Cov-2 nelle acque reflue per monitorare in modo preventivo la presenza del virus, e la sua possibile propagazione in Italia.

Obiettivo del progetto è riuscire ad acquisire indicazioni utili sull’andamento epidemico e sull’allerta precoce di focolai nelle prossime fasi dell’emergenza. Come funziona? I campioni prelevati prima dell’ingresso nei depuratori dei centri urbani possono essere utilizzati come ‘spia’ di circolazione del virus nella popolazione. Le prime analisi hanno già consentito di rilevare Rna di Sars-Cov-2 in diverse aree del territorio nel corso dell’epidemia; inoltre grazie a indagini retrospettive su campioni di archivio si è riusciti a rivelare la circolazione del virus in alcune aree del Nord in periodi antecedenti ai prima casi di Covid-19.

Il lavoro è costituito da due fasi. La prima, su base volontaria e autofinanziata dai partecipanti al progetto, si concentra su una rete pilota di siti prioritari, come le località turistiche (partita nel corso dell’estate). La seconda fase, attivabile (da ottobre) sulla base delle risorse disponibili, prevede una rete di sorveglianza estesa a livello nazionale, focalizzata sugli aggregati urbani, con la possibilità di realizzare anche monitoraggi flessibili e capillari (come quartieri cittadini e siti di depurazione di aeroporti), funzionali alle necessità di prevenzione sanitaria delle diverse aree territoriali, in base agli scenari epidemiologici. Che è proprio quello che è successo nella Regione madrilena.

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Le analisi effettuate da parte delle strutture territoriali – come per esempio le Arpa e le Asl, le università, i centri di ricerca e naturalmente i gestori del Servizio idrico integrato con il supporto di Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, ambiente e energia).

“Gli studi italiani – osserva Luca Lucentini, direttore del reparto di qualità dell’acqua e salute dell’Istituto superiore di sanità – hanno dimostrato l’importanza di costruire una rete capillare di sorveglianza in grado di restituire in tempo quasi-reale la fotografia dell’andamento dei contagi nei contesti regionali e locali, evidenziando come questo approccio può anticipare la conoscenza sui luoghi di circolazione del virus nel nostro Paese”.

“L’approccio di sorveglianza ambientale avviato in Italia – rileva Giuseppina La Rosa, insieme con Lucia Bonadonna, che coordinano il progetto – si sta definendo in molti paesi, e anche la commissione Europea sta guardando con particolare interesse al nostro modello in quanto basato su metodi sensibili e specifici”.