di Paolo Travisi
Le batterie gelatinose potrebbero essere usate nella biomedicina, soft robotics ed impiantate nel cervello
C’è grande fermento a livello mondiale nella ricerca e sviluppo di batterie. Per innovare si va oltre i materiali tradizionali e i metodi più conosciuti e – come accade spesso nel mondo scientifico – la natura è sempre un’ottima fonte di ispirazione. Stavolta, sono le anguille elettriche ad aver fornito l’idea ai ricercatori dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito. Il team ha sviluppato delle batterie “gelatinose” morbide ed estensibili, a base di idrogel conduttivo, costituito da reti tridimensionali di polimeri idrofili in grado di condurre l’elettricità. Questo tipo di batterie potrebbe trovare ampia applicazione nei campi della bioelettronica, biotecnologie mediche e della soft robotics, nei dispositivi wearable o persino impiantate nel cervello, per somministrare farmaci.
I materiali gelatinosi sviluppati dai ricercatori di Cambridge hanno una struttura a strati, il cui principio di funzionamento assomiglia molto agli elettrociti, le cellule muscolari delle anguille, che non sono altro che una parte dell’organo elettrico, comune a tutti i pesci elettrofori, utilizzato per creare un campo elettrico. Ad accostare le anguille elettriche alla batteria, probabilmente ci aveva già pensato Alessandro Volta, visto che gli elettrociti impilati sono paragonabili propria alla pila inventata da Volta.
Rinaldi di ENEA: “Nelle anguille si verifica il processo di carica/scarica”
Rinnovabili ha chiesto ad ENEA, in particolare ad Antonio Rinaldi responsabile del Laboratorio Tecnologie e Dispositivi per l’Accumulo Elettrochimico, come si può spiegare questa ispirazione alle anguille. “Nelle anguille avviene un processo di carica e scarica attraverso un meccanismo di “reverse electrodyalisis” (RED), dove specie ioniche si muovono attraverso una sequenza di membrane selettive tra due compartimenti “elettrodo”, con accumulo di carica elettronica e l’instaurarsi di un potenziale elettrico tra le superfici degli elettrodi, generando così un passaggio di corrente quando si “chiude” il circuito su una resistenza elettrica, vale a dire quando il malcapitato tocca l’anguilla”, spiega Antonio Rinaldi, che aggiunge: “Diversamente dalle “batterie classiche”, però, tale potenziale non viene determinato dal potenziale redox degli elettrodi metallici selezionati e dal doppio strato elettrico all’interfaccia elettrodo elettrolita. La scarica avviene in un tempo brevissimo ed è molto simile ad un condensatore. Il meccanismo RED è reso possibile dall’interfacciamento di una “sequenza” di hydrogel e gel intrinsecamente carichi (opportunamente polarizzati) ed in grado di orchestrare un passaggio di anioni e cationi”.
Tornando allo studio, ancora oggi l’elettronica convenzionale utilizza materiali metallici rigidi con elettroni come portatori di carica. I dispositivi basati su idrogel utilizzano invece reti polimeriche morbide infiltrate di acqua con ioni come portatori di carica, analogamente ai sistemi biologici viventi, proprio come le anguille. I recenti progressi nello sviluppo di reti polimeriche sintetiche hanno permesso un passo in avanti nella futura generazione di macchine e dispositivi basati su idrogel, tuttavia, la fabbricazione di questi particolari device che mostrano un’elevata conduttività ionica mantenendo elevata estensibilità e morbidezza, non è ancora ritenuta soddisfacente. Fino ad ora.
Batterie gelatinose combinano elevata estensibilità ed alta conduttività
La sfida da superare nella progettazione dei dispositivi idrogel è quella di mantenere le proprietà meccaniche, come un’elevata estensibilità ottenendo contemporaneamente un’alta conduttività; gli autori dello studio pubblicato su Science Advances, infatti, sono convinti che la capacità di imitare le proprietà meccaniche ed elettriche del tessuto umano offra un grande potenziale nei campi della bioelettronica e della robotica morbida, dispositivi wearable, soft robots o persino impiantate nel cervello, per somministrare farmaci.
Ma di cosa sono composte queste batterie?
Le batterie gelatinose, come detto, sono fatte di idrogel, reti tridimensionali di polimeri, che contengono oltre il 60% di acqua, tenuti insieme da interazioni che possono essere attivate e disattivate, che controllano l’estensibilità della gelatina. Proprietà che consentono alle batterie di estendersi fino a oltre dieci volte la loro lunghezza originale, senza compromettere la conduttività. “È difficile progettare un materiale che sia altamente estensibile ed altamente conduttivo, poiché queste due proprietà sono normalmente in contrasto tra loro”, considera il primo autore Stephen O’Neill, del Dipartimento di Chimica Yusuf Hamied di Cambridge. “In genere, la conduttività diminuisce quando un materiale viene allungato”.
“Normalmente, gli idrogel sono fatti di polimeri che hanno una carica neutra, ma se li carichiamo, possono diventare conduttivi”, ha detto la co-autrice Dr. Jade McCune. “E cambiando la componente salina di ogni gel, possiamo renderli appiccicosi e schiacciarli insieme in più strati, così da poter costruire un potenziale energetico maggiore”.
Supramolecular polymer networks, un nuovo materiale per batterie bioinspirate: il caso di Enea
Spiega ancora Antonio Rinaldi di Enea a proposito dello speciale materiale sviluppato dal team di ricerca straniero: “Nel lavoro non si parla esplicitamente di batterie, ma si introduce una classe di materiali su cui si può pensare di sviluppare una tecnologia per batterie bioinspired (come riportato nell’articolo originale citato dallo studio O’Neill et al., Sci. Adv. 10, eadn5142 (2024) 17 July 2024). Gli autori citano il meccanismo della RED ed una speciale classe di materiali – i Supramolecular polymer networks (SPN) – rivendicando un’innovazione legata a materiali multi-layer e multi-network che combina in modo del tutto nuovo elevate resistenza meccanica e conducibilità ionica. Questa tematica non è nuova, ma il risultato pubblicato lo è. Possiamo ribadirlo visto che ENEA stessa da molti anni studia sistemi cross-linkati di materiale biocompatibile (anche gel). Per esempio, nel caso dell’ossido di polietilene PEO) usato nell’industria alimentare ed opportunamente reticolato, ilgruppo ENEA della collega Gianni Appetecchi (ref. Kim et. al, JPS,195,2010) ha ottenuto proprietà meccaniche anche superiori a quelle del lavoro in questione sebbene con conducibilità ioniche più basse, ma in linea con la letteratura e nel contesto di batterie classiche polimeriche”.
Il futuro delle batterie “gelatinose” nel campo biomedico
Oltre alla loro morbidezza dunque, gli idrogel sono anche sorprendentemente resistenti. Possono essere schiacciate senza perdere in modo permanente la loro forma originale e possono auto-ripararsi quando vengono danneggiati; proprietà molto promettenti per un futuro utilizzo negli impianti biomedici, poiché si adattano ai tessuti umani.
“Poiché non contengono componenti rigidi come il metallo, un impianto in idrogel avrebbe molte meno probabilità di essere rigettato dall’organismo o di causare l’accumulo di tessuto cicatriziale. Possiamo personalizzare le proprietà meccaniche degli idrogel in modo che corrispondano ai tessuti umani“, ha affermato il professor Oren Scherman, direttore del Melville Laboratory for Polymer Synthesis, che ha guidato la ricerca.