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Alla ricerca di refrigeranti a basso impatto ambientale

Dai primi prodotti sintetici alle nuove opzioni più sostenibili: un excursus storico nel mondo dei fluidi refrigeranti

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di Giovanni Di Nicola

A partire dagli anni ’30, sul mercato fecero la comparsa i primi fluidi refrigeranti di sintesi: R11, R12 e successivamente R22 e la miscela R502. 

Poiché da subito questi fluidi, non tossici e non infiammabili, dimostrarono stabilità chimica unita a ottime proprietà termodinamiche e di trasporto, la loro diffusione fu molto rapida. Gli elementi chimici che garantirono tali requisiti furono gli alogeni (principalmente cloro e fluoro) i quali, inseriti al posto dell’idrogeno nella molecola dell’alcano, permisero negli anni la creazione e l’utilizzo di una gran quantità dei cosiddetti Cloro-Fluoro-Carburi (CFC) ed Idro-Cloro-Fluoro-Carburi (HCFC).

È il 1974 quando due scienziati americani, Rowland e Molina, mostrarono come il cloro agisse nello strato di ozono stratosferico, portando ad un assottigliamento di esso.

Per quantificare questo effetto, nel 1983 Wuebbles introdusse un parametro denominato ODP (Ozone Depletion Potential), prendendo come riferimento l’R11 a cui venne dato il valore di ODP pari a 1. 

Nel 1985 un “buco” al di sopra dell’Antartide attirò l’attenzione della comunità scientifica. Fu così che il 16 settembre del 1987 venne firmato il Protocollo di Montreal che entrò in vigore solo 2 anni più tardi e si rivelò uno strumento efficace per contrastare il progressivo assottigliamento della fascia di ozono atmosferico.

Ad oggi il protocollo di Montreal, l’unico trattato che è stato approvato da tutti i 197 paesi membri delle Nazioni Unite, rappresenta una tappa importante nella storia. Negli anni ha subìto modifiche, evolvendosi dal punto di vista scientifico, tecnico ed economico, ed attualmente disciplina quasi cento sostanze chimiche artificiali che danneggiano la capacità dello strato di ozono di proteggere l’uomo e altre forme di vita dalle radiazioni ultraviolette del sole.

Per sostituire i gas messi al bando, alla fine degli anni ‘80 la ricerca si rivolse principalmente sempre a sostanze di sintesi alogenate, ma senza la presenza di cloro nella molecola, i cosiddetti Idro-Fluoro-Carburi (HFC). Particolare successo riscossero negli anni R134a, R32, R125 ed R143a tra i fluidi puri ed R404A, R407C, R410A ed R507A tra le miscele. 

Pur non contribuendo all’assottigliamento dello strato di ozono, gli HFC si rivelarono presto potenti gas serra e l’incremento del loro utilizzo apparve subito un importante contribuito al riscaldamento globale. Secondo l’Agenzia Europea per l’ambiente, circa il 2% delle emissioni totali di gas serra deriverebbero dagli HFC e la fonte principale di dispersione in atmosfera di queste sostanze sarebbe legata agli impianti di refrigerazione e di condizionamento dell’aria.

Per quantificare il contributo di un fluido in base al suo potenziale di riscaldamento globale fu definito l’indice GWP (Global Warming Potential), un indicatore in grado di misurare il contributo all’assorbimento delle radiazioni termiche solari da parte di un gas serra in un certo arco di tempo rispetto all’assorbimento di una uguale quantità di CO2. Altro parametro molto utilizzato è il TEWI (acronimo per Total Equivalent Warming Impact) che considera anche le prestazioni del refrigerante, essendo correlato al comportamento globale ai fini dell’effetto serra dell’intera macchina frigorifera.

Ma fu nel 1998, alla Conferenza mondiale di Kyoto, che venne finalmente deciso di includere anche gli HFC tra le sostanze responsabili dell’effetto serra.

Il Protocollo di Kyoto impegnò i Paesi sottoscrittori ad una riduzione quantitativa delle proprie emissioni di gas ad effetto serra rispetto ai propri livelli di emissione del 1990 in percentuale diversa da Stato a Stato, aggiornate annualmente, attuando politiche industriali e ambientali tali da rallentare il riscaldamento climatico. Fra le nazioni che non fanno parte del protocollo di Kyoto ci sono gli Stati Uniti, con il 36% di emissioni sul totale, che lo ha firmato nel 1998 ma non lo ha ratificato, e nazioni come Cina, India e Brasile che, pur avendo una crescita molto intensa, sono esenti da obblighi. 

L’ideale prosecuzione del cammino intrapreso dalla comunità internazionale con il Protocollo di Kyoto avvenne nel 2015 con l’Accordo di Parigi, sottoscritto da 195 paesi. Tale accordo propose un piano d’azione per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C entro la fine del secolo, rispetto ai livelli preindustriali. 

Dal 2015 è stato inoltre attivato dall’Unione Europea il regolamento F-gas, volto a limitare la quantità totale dei più importanti gas fluorurati che possono essere venduti nell’Unione a partire dal 2015 e ridurli gradualmente fino a un quinto delle vendite del 2014 nel 2030.

Il 15 ottobre 2016, un anno dopo l’accordo di Parigi, venne sottoscritto l’Emendamento di Kigali. Con questo emendamento 197 paesi presero l’impegno di ridurre la produzione e l’impego dei fluidi HFC di oltre l’80% nei prossimi 30 anni, che porterebbe ad una riduzione di emissioni di oltre 80 miliardi di tonnellate metriche di anidride carbonica entro il 2050. L’emendamento divise i paesi in tre gruppi in funzione della data rispetto alla quale dovranno congelare e iniziare a ridurre l’uso di HFC. La riduzione dell’uso di HFC è iniziata ufficialmente il 1° gennaio 2019 per i paesi industrializzati, gran parte dei paesi in via di sviluppo, tra cui Cina, Brasile e Sud Africa, dovranno congelare i consumi dal 2024, un terzo gruppo di paesi, tra cui l’India e i paesi del Golfo, dovrà iniziare dal 2028. 

Al fine di trovare validi sostituti agli HFC, sono stati recentemente identificati nuovi refrigeranti di sintesi, le cosiddette Idro-Fluoro-Olefine, HFO, nei quali gli idrocarburi di riferimento non sono più gli alcani, ma gli alcheni. La presenza di un doppio legame nella molecola degli alcheni rende la molecola del refrigerante più rigida e fragile, accorciandone notevolmente il periodo di durata in vita in atmosfera, e conseguentemente il GWP. Tra gli HFO più interessanti si segnalano R1234yf ed R1234ze(E).

Arrivando ai giorni nostri, l’introduzione degli HFO ha reso la ricerca molto attiva perché questi refrigeranti sembrerebbero soddisfare le necessità di solo una parte delle applicazioni legate alle macchine a ciclo inverso, lasciando scoperti settori cruciali (ad esempio pompe di calore ad alta temperatura e cicli in cascata). Inoltre, molti di questi HFO si sono rivelati infiammabili. 

Per concludere, in questo breve excursus storico non sono ancora stati citati né i cosiddetti fluidi inorganici (tra i principali ammoniaca, R717, e anidride carbonica, R744), né gli idrocarburi (tra i principali propano, R290, ed isobutano, R600a). 

Questi fluidi, ormai utilizzati stabilmente in alcune applicazioni e periodicamente alla ribalta ogni qual volta i fluidi di sintesi sono stati proscritti per cause ambientali, sembrerebbero essere, assieme a possibili miscele tra e con HFO, una valida opzione per l’immediato futuro.