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Rapporto GreenItaly 2023, l’Italia e la sfida della green economy

Il “Rapporto GreenItaly 2023 - Un’economia a misura d’uomo contro le crisi” delinea il quadro della green economy in Italia. Si conferma la propensione delle nostre aziende a investire nella transizione verde, consapevoli che essere sostenibili conviene. Non è un costo ma un’opportunità per creare lavoro, innovazione, coesione territoriale e profitto

di Isabella Ceccarini

La sostenibilità non è un costo ma un’opportunità

Il Rapporto GreenItaly 2023 – giunto alla quattordicesima edizione – ogni anno fa il punto sulla green economy in Italia.

Ricco di dati e analisi territoriali, descrive in modo accurato l’evoluzione della green economy (rappresentata da oltre 200 case history).

GreenItaly 2023 è frutto del grande lavoro di Fondazione Symbola, Ufficio Studi della Camera, Conai, Novamont, Ecopneus, European Climate Foundation e di decine di esperti.

Essere sostenibili conviene

Dietro a questo lavoro c’è un principio guida che rimane saldo nel tempo: la sostenibilità non è un costo, ma un’opportunità per competere e innovare, per creare coesione territoriale, bellezza e benessere diffuso.

Tante volte lo abbiamo detto e non ci stanchiamo di ripeterlo, a costo di sembrare monotoni. C’è ancora chi pensa che la sostenibilità sia un’attrazione per i sognatori o per chi ha grandi possibilità economiche e quindi può permettersi di non pensare ai soldi.

I fatti – confermati dai dati di GreenItaly 2023 – smentiscono questa visione, ormai superata: le aziende che puntano sulla sostenibilità sono quelle più competitive, innovative, che creano occupazione, che esportano e interagiscono positivamente con il territorio e le comunità.

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Le parole dell’evoluzione sostenibile

Il Rapporto GreenItaly è cresciuto nel tempo e si è arricchito di rilevazioni e di approfondimenti settoriali, di statistiche, big data e nuove tecniche, come ha sottolineato Alessandro Rinaldi, direttore Studi e statistiche Centro Studi Guglielmo Tagliacarne.

Interessante il text mining: da 5mila parole chiave nel 2010 alle 6mila del 2023, che dimostrano un nuovo modo di parlare del green. Ambientale, futuro, crisi e green sono le parole più ricorrenti nel primo Rapporto.

Le parole che segnano l’evoluzione ad oggi dimostrano una visione che lascia più spazio alla produzione, al rifiuto, al materiale, all’energia; ma su tutte spicca la parola transizione, proprio a indicare l’evoluzione di un percorso sostenibile.

Se nel 2010 il richiamo era alla crescita sostenibile, il focus di GreenItaly 2023 sono gli stringenti obiettivi del Green Deal. Interessanti, a questo proposito, le percentuali delle fonti di energia: nel 2012, fossile 68%, nucleare 11%, rinnovabile 21,3%; nel 2022, fossile 61%, nucleare 9%, rinnovabile 29,9%.

GreenItaly 2023 conferma l’eccellenza italiana nel riciclo

In Italia le rinnovabili crescono (rappresentano circa un terzo del fabbisogno), ma troppo lentamente a causa di numerose barriere, a cominciare dalle autorizzazioni. Ma nonostante tutto siamo tra gli ecoleader europei; la vera eccellenza italiana è nella filiera del riciclo dove superiamo di molte lunghezze gli altri paesi europei (che è anche un ottimo sistema per sopperire alla mancanza di materie prime).

Un campione di 120mila imprese permette di misurare l’evoluzione costante e il mantenimento degli investimenti delle imprese che investono nel green in differenti settori (industria, manifatturiero, public utilities, costruzioni, servizi).

Interessante notare che il 40,9% delle imprese agricole crede negli eco-investimenti, che comunque crescono costantemente in tutti i settori (l’edilizia passa addirittura dal 20,8 % del periodo 2014-2018 al 52,7 del 2018-2022).

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Investimenti e dimensione delle imprese

Gli investimenti in sostenibilità crescono con la dimensione delle imprese, ma aumentano anche nelle piccole, medie e micro imprese. Per quanto riguarda i territori, da sottolineare che il Mezzogiorno concentra il 30% degli investimenti green, forse perché riducono i divari territoriali.

La sostenibilità conviene? Ancora una volta la risposta è affermativa in termini di fatturato, di produzione, di occupazione e di esportazioni.

Non secondario il fatto che gli investimenti green vanno d’accordo con quelli digitali. Questo tandem crea anche un contesto favorevole all’inserimento dei giovani, con imprese che investono su upskilling e reskilling del capitale umano e risultano essere molto più coesive.

Una curiosità: il 45% delle imprese che hanno investito nel green sono più orientate ad aderire a progetti di supporto alle imprese legati al PNRR rispetto alle altre (22%).

I green jobs

Da non sottovalutare, infine, la dimensione occupazionale: i green jobs crescono più dell’occupazione tradizionale (+4,1% contro +2,2% nel periodo 2021-2022). Parliamo di 3,2 milioni di occupati (13,9% del totale, una percentuale degna di attenzione).

Inoltre, si tratta di occupazione più stabile e qualificata; il dato negativo è il mismatch, ovvero la difficoltà a reperire le figure idonee (ne manca circa il 47%).

Impressionante il dato relativo alla domanda, dove i green jobs fanno la parte del leone: progettazione, ricerca e sviluppo 87%, logistica 81,7%, marketing e comunicazione 79,2%, aree tecniche 78,1%.

Dove andranno le professioni del futuro? Non c’è dubbio: le competenze richieste saranno in maggioranza green in tutti i settori, sia a livello intermedio che elevato.

L’assurda follia burocratica che ostacola le imprese

Il Rapporto GreenItaly 2023 ha mostrato i vantaggi degli investimenti sostenibili, ma quali sono gli ostacoli se il 48% delle imprese non ha investito e non investirà sul green? Motivi economici e culturali, burocrazia, incertezza sul futuro, competenze, disponibilità dei componenti.

Andrea Prete, presidente Unioncamere, sottolinea il progresso mostrato dal Rapporto, anche se si potrebbe fare di più.

Infatti ha rimarcato il valore del green in merito alla produzione di energia: dobbiamo puntare all’autonomia, che può venire solo da un incremento delle rinnovabili.

Unioncamere ha riunito intorno a un Tavolo per la semplificazione amministrativa tutte le principali associazioni del Paese per presentare al Governo un pacchetto di norme che possono semplificare la vita alle imprese: norme anche banali, ma importanti, che evidenziano l’assurda follia di certi provvedimenti che ostacolano le imprese nell’intraprendere una svolta digitale e verde.

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Non rallentare sull’attuazione dell’Agenda 2030

Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, esorta a vedere i problemi nel suo complesso. Parliamo continuamente di cambiamenti climatici, ma è anche alla luce di questi che dobbiamo leggere tante evidenze, a cominciare dai fenomeni migratori: «La crisi climatica è legata a doppio filo a dinamiche ambientali, economiche, sociali. Non possiamo permetterci le incertezze con cui procede l’attuazione dell’Agenda 2030».

Realacci fa l’esempio del lago Ciad che alcuni anni fa era più grande della Lombardia, oggi è più piccolo della Val d’Aosta. Queste alterazioni ambientali causano tensioni anche nei paesi vicini, problemi che richiedono risposte di sistema.

Quindi non è possibile minimizzare la crisi climatica, un tema sul quale anche Papa Francesco si è espresso più volte con grande chiarezza.

«Il profeta che ammonisce senza presentare alternative accettabili, contribuisce ai mali che enuncia», disse l’antropologa statunitense Margaret Mead, citata nella prefazione del Rapporto GreenItaly 2023.

Il Rapporto propone soluzioni accettabili perché partono da quello che già esiste. Uno sguardo capace di leggere i problemi con lungimiranza dovrebbe puntare su politiche energetiche più basate sulle rinnovabili, dove siamo in colpevole ritardo.

Energie rinnovabili, vantaggio per l’ambiente e per l’economia

Dovremmo invece considerarle un vantaggio non solo per l’ambiente, ma anche per la nostra economia. I problemi sollevati dall’invasione dell’Ucraina – che ha destabilizzato il quadro economico – non sono finiti, e la crisi che sta incendiando il Medio Oriente ha una portata ancora più preoccupante.

Una crisi che va ben oltre il solo approvvigionamento energetico, ma che impone ancora una volta la necessità di una riflessione di sistema sulla nostra autonomia energetica.

Le rinnovabili non sono la soluzione, ma sicuramente ne sono una parte importante.

Realacci cita un rapporto della Banca d’Italia che mette in luce il nesso tra aumento della crisi climatica e problemi delle imprese; un altro della BEI evidenzia il fatto che l’accelerazione della transizione energetica dà forza alla nostra economia.

Motivazioni che sono dietro alla scelta che ha fatto l’Europa: coesione, transizione verde e digitale sono un modello di società.

«Stiamo attenti a non perdere questa partita», conclude Realacci, se perfino la Cina – che non è certo un competitor di secondo piano – si è data l’obiettivo di azzerare le emissioni al 2060: non tanto per amore dell’ambiente, quanto perché è una sfida industriale.

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La bioeconomia circolare sia un ponte tra ecologia ed economia

Frenare sulla transizione verde non ha senso: quello che noi non facciamo, nel frattempo lo fanno gli altri e noi restiamo indietro.

La direzione da prendere è chiarissima e ricordiamo, come ha detto Papa Francesco, di avere un destino comune: anche dalla coesione può nascere la nostra forza.

Quale può essere la nostra bussola? Come ha affermato Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, «la bioeconomia circolare diventi un ponte tra ecologia ed economia, partiamo dalla valorizzazione del buono che abbiamo in Italia. Il fattore chiave è un cambiamento di mentalità disaccoppiando lo sviluppo dall’uso delle risorse.

Le rinnovabili non saranno la soluzione senza innovazione, senza nuove tecnologie e senza una nuova consapevolezza».