Il nuovo settore promette di recuperare rifiuti per conto terzi e certificare l’operazione con crediti di plastica
(Rinnovabili.it) – Stanno emergendo come parte della soluzione all’inquinamento da plastica, ma non convincono tutti gli stakeholder. La domanda che sorge nel mondo ambientalista è: i crediti di plastica rischiano di fare la fine dei crediti di carbonio? O possono davvero contribuire a ridurre il rilascio in ambiente dei polimeri ormai onnipresenti? Mentre questo interrogativo resta inevaso, questa soluzione finanziaria potrebbe trovarsi al cuore del prossimo Trattato globale sulla plastica delle Nazioni Unite.
Secondo CleanHub, società che assiste le aziende nei loro programmi di riduzione dei rifiuti in plastica, bisogna distinguere. La differenza principale tra i due modelli è che i carbon credits, sono difficilmente misurabili, mentre i plastic credits no. “I crediti plastica affrontano questo problema unendo imprese e comunità costiere, cercando di risolvere questa problematica diffusa”, spiegano.
Come funzionano i crediti di plastica
Le imprese possono utilizzare i crediti di plastica per finanziare la rimozione della plastica e contribuire a impedirne il raggiungimento dell’ambiente. Alcune aziende possono sommare questa attività agli impegni che attuano per ridurre l’inquinamento nella filiera, per raggiungere la neutralità plastica. Proprio come i crediti di carbonio promettono di contribuire alla neutralità climatica.
Nello specifico, le aziende guadagnano crediti collaborando con organizzazioni impegnate nella raccolta di una certa quantità di plastica per conto loro. Queste realtà di solito collaborano con comunità locali e costiere. “Il monitoraggio e controllo del recupero della plastica sono solitamente molto più facili rispetto al tracciamento delle emissioni di carbonio perché la plastica è un oggetto tangibile”, sostiene CleanHub.
Un modello imperfetto
Spesso queste attività vengono promosse in paesi a basso reddito, privi di programmi di gestione dei rifiuti e di tutele sul lavoro. Ciò, affermano i critici, rischia di trasformare questa pratica in una rischiosa operazione di greenwashing.
I servizi di raccolta, verifica ed emissione dei crediti sono svolti da aziende in tutto il mondo: alcuni nomi sono Plastic Bank e Plastic Credit Exchange. Ci sono anche – è l’esempio di Verra – quelle già finite negli scandali per crediti di carbonio “spazzatura”.
Non esistono standard globali o regolamentazioni che disciplinino l’uso di questi crediti plastica o ne garantiscano l’affidabilità, né ciò che viene fatto con i rifiuti raccolti. Gli scettici avvertono quindi che sistemi basati sulla certificazione e il monitoraggio volontario non portano ad un aumento del riciclo. Anzi, consentono alle aziende di continuare a produrre e utilizzare materiali inquinanti, mentre conducono campagne pubblicitarie per apparire più responsabili.
Il sistema di crediti, inoltre, affronta al massimo i rifiuti già prodotti e gettati. Non contrasta la produzione delle plastiche più tossiche e non promuove la sostituzione con materiali riutilizzabili. Agisce dunque sulla parte finale della filiera, come i crediti di carbonio, e potrebbe rallentare – invece di accelerare – la transizione verso un modello diverso.