Come i nuovi paradigmi di sostenibilità ambientale ed energetica stanno ridisegnando la professionalità e le specializzazioni dell’ingegnere, creando nuove prospettive
(Rinnovabili.it) – In un periodo di transizione energetica, che sta per mutare drasticamente gli stili di vita dei cittadini, gli ingegneri svolgono un ruolo importante perché depositari di buona parte delle conoscenze tecniche su cui è poggiata la trasformazione stessa. Quale contributo, sul fronte della sostenibilità, potrà offrire in futuro la professione dell’ingegnere e con quali prospettive?
Secondo Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI), è importante «distinguere tra ruolo attuale e auspicato della nostra professione. E’ evidente che l’attuale ruolo dell’ingegnere è quello di trascinatore della società e di profondo osservatore delle sue esigenze, nella consapevolezza che il contesto in cui si opera è in rapidissimo e costante cambiamento, un contesto in cui gli aspetti della sostenibilità ambientale sono e saranno determinanti al fine delle scelte in chiave tecnica e scientifica. Proprio per sostenere questa importante tendenza all’innovazione scientifica, risulta basilare l’aggiornamento professionale e la capacità di intercettare le nuove esigenze della collettività, dell’industria, delle città. L’elemento che lega questa trasformazione è chiaramente la tendenza al risparmio energetico ed il conseguente abbattimento delle emissioni. Credo insomma che quella dell’ingegnere sia una professione trainante, sul fronte della sostenibilità ambientale, e che detiene molteplici conoscenze specifiche. Dove la nostra professione dovrebbe essere più presente, e anche lì trainante, è nei contesti sociali per condizionare le scelte che spesso la politica fa senza consultarci adeguatamente. Però devo rilevare che in questi ultimi cinque anni qualche cosa è cambiato e siamo presenti in tanti tavoli ministeriali e di importanti associazioni che intervengono sul nostro campo professionale».
MS: Soffermiamoci sulla formazione degli ingegneri. In quali termini, a suo giudizio, l’attuale offerta formativa per gli ingegneri risponde alla grande scommessa tecnologica sul fronte della sostenibilità ambientale?
AZ: Anche qui siamo a metà del guado. Mi spiego meglio: l’offerta formativa è sicuramente piuttosto varia, soprattutto nel campo della sostenibilità energetica. Quindi, sotto questo aspetto, non abbiamo grossi problemi o ritardi in considerazione sia del gran numero di provider che abbiamo autorizzato come Consiglio Nazionale, sia al valente lavoro dei Consigli Provinciali che credo nell’anno scorso abbiano organizzato più di 10.000 corsi di cui, oltre la metà, gratuiti. E buona parte di questi corsi hanno come argomenti la sostenibilità energetica ed ambientale. Quindi l’offerta formativa su questi temi è sicuramente esaustiva. Ciò che manca ancora è, a mio giudizio, il collegamento tra la formazione obbligatoria e le specifiche competenze nel mondo professionale. In altre parole la capacità del sistema di creare un mercato per le effettive e numerose specializzazioni presenti in questi settori. E questo è causato anche dal fatto che ancora, all’interno del nostro Albo, queste specializzazioni non sono riportate. Ecco, questo è un aspetto che sicuramente va rivisto.
MS: in questo senso il CNI come si sta muovendo?
AZ: Nel disegno di legge concorrente che sta per arrivare al Senato, che abbiamo contrastato per alcuni aspetti legati alle società di ingegneria, nel quale vediamo anche molte criticità, c’è un passaggio che riguarda l’obbligo di inserire negli albi le specializzazioni. E questo è un primo passo che unito alla possibilità presente nel Jobs Act, che è già legge, di recuperare ai fini fiscali le spese per la certificazione delle competenze credo che sia un segnale importante di attenzione su questo tema.
MS: Parliamo dell’attuale situazione occupazionale dell’ingegnere italiano. Dal vostro punto di vista, scegliere oggi la facoltà di ingegneria e la relativa professione è ancora pagante o iniziano problemi anche per la vostra attività?
AZ: Problemi esistono, è inutile negarlo, ma ritengo che la professione dell’ingegnere sia ancora pagante rispetto ad altre professioni. La facoltà di ingegneria è ancora quella che garantisce un livello di occupazione buono. Parliamo piuttosto di sottoccupazione, di stipendi bassi, di compensi che ormai sono ridotti al lumicino anche a causa dei ribassi eccessivi operati nell’ambito degli interventi per la pubblica amministrazione, o nei confronti dei privati la mancanza di tariffe definite spesso ci porta a non essere abbastanza forti per imporre compensi adeguati. Allora si può tornare a tariffe di riferimento o addirittura obbligatorie, ma è evidente che la scelta dei giovani di affrontare il percorso di ingegneria deve essere funzionale essenzialmente al mercato futuro, dove per tanti aspetti l’ingegnere civile sta diventando più marginale rispetto, ad esempio, alle specializzazioni emergenti come appunto quelle legate alla sostenibilità ambientale ed energetica. Anche le lauree in ingegneria informatica sono ancora gettonate sul mercato del lavoro. Certo un elemento che potrebbe cambiare radicalmente il nostro mercato del lavoro potrebbe essere l’attuazione del piano di prevenzione del rischio sismico…
MS: A proposito del rischio sismico, in Italia conviviamo costantemente con questo grave pericolo. A suo giudizio, quale potrebbe essere una soluzione facilmente percorribile per limitare i danni?
AZ: Abbiamo proposto un piano equilibrato che prevede dapprima un’analisi del territorio e dei fabbricati più a rischio intersecando vulnerabilità con pericolosità allo scopo di individuare le priorità su cui intervenire con urgenza. Ciò consentirebbe di aumentare il livello di sicurezza di gran parte del patrimonio edilizio, quello più esposto ai rischi. Successivamente si dovrebbe varare un intervento strutturale, dal costo pari a quanto lo stato mediamente già spende per gli stanziamenti post disgrazie, cioè circa 3,5 miliardi. Riteniamo che realizzando questo piano, in modo razionale ed equilibrato, nell’arco di 20/30 anni il nostro matrimonio edilizio potrebbe superare il livello di rischio a cui è esposto attualmente, garantendo l’incolumità dei cittadini e impegnando quanto già spendiamo in attività emergenziali