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Vertice sul clima di Sharm, la COP27 chiede una riforma del sistema finanziario globale

Vertice sul clima di Sharm: cos’ha deciso la COP27 sulla finanza per il clima?
La premier di Barbados, Mia Mottley, ha proposto una riforma dell’architettura finanziaria globale per adeguarla alle esigenze della crisi climatica. Crediti: UNCTAD via Flickr | CC BY-SA 2.0

Buona accoglienza per la Bridgetown Initiative di Barbados al vertice sul clima di Sharm

(Rinnovabili.it) – L’accordo sulle compensazioni ai paesi in via di sviluppo per i danni e le perdite dovuti alla crisi climatica è sicuramente il miglior risultato raggiunto alla COP27. Al vertice sul clima di Sharm, però, si è parlato anche di altri aspetti legati alla finanza per il clima. Il target post 2025, chi deve pagare, che forma devono avere i flussi di aiuti. Passando per una richiesta di riforma dell’intera architettura finanziaria globale che ha riscosso consensi trasversali ed è citata esplicitamente nella decisione finale della COP.

Dopo quello sui loss and damage e quello sul capitolo mitigazione, quindi, in questo terzo approfondimento analizziamo i risultati della COP27 in Egitto sul variegato fronte della finanza per il clima.

Verso un nuovo target per il post 2025

A Sharm el-Sheikh i paesi più ricchi sono arrivati, per il secondo anno di fila, senza aver fatto i compiti a casa. Nel 2009 si erano impegnati a garantire 100 mld $ l’anno in finanza per il clima fino al 2025, bilanciando i fondi destinati alla mitigazione con quelli per l’adattamento. Questa cifra non si è mai materializzata – manca ancora una decina di mld circa –, cosa che contribuisce a incrinare la fiducia tra Nord e Sud globali. Alla COP27 una delle discussioni più importanti era sul nuovo obiettivo post 2025. Quanto denaro? In che forma? Per quali scopi?

Il vertice sul clima di Sharm non è arrivato a una decisione definitiva su questi punti né ci si aspettava che lo facesse. Il processo di discussione è impostato per finire nel 2024, alla COP29. Questo non significa che non ci siano stati passi avanti in Egitto. Nel Piano di attuazione di Sharm el-Sheikh, al punto 56, si nota il gap crescente tra bisogni dei paesi in via di sviluppo, citando anche il problema del loro indebitamento, e i flussi di finanza climatica assicurati dai paesi più ricchi.

E si cita la cifra di 5.800-5.900 mld $ al 2030 (determinata dallo Standing Committee on Finance dell’Unfccc) per iniziare a quantificare questi bisogni. Non è ancora un target, ma fissa i binari per definirlo e dà un ordine di grandezza. Così come è utile in questo senso il punto 59, dove si stima che gli 803 mld $ mobilitati nel 2019-2020 corrispondano al 31-32% del totale necessario per tenere il riscaldamento globale sotto i 2°C.

Prestiti o sovvenzioni

Né nella cover decision né nella decisione sul “Nuovo obiettivo collettivo quantificato di finanza climatica” si trovano invece riferimenti alla forma dei contributi finanziari. Se ne è parlato molto, con i paesi in via di sviluppo che premono per far passare il principio che gli aiuti non possono essere sotto forma di prestiti, o si rischia di ingabbiare paesi già vulnerabili in una trappola del debito climatica.

Per questa stessa ragione, questi paesi accolgono con cautela la volontà dei paesi a economia avanzata di riservare un ruolo maggiore agli attori privati nei flussi di finanza per il clima. Difficilmente i privati danno soldi in forme diverse dal prestito, è il ragionamento. I paesi ricchi, dal canto loro, hanno provato ad allungare la lista dei paesi donatori a quelli ad alto reddito, in modo simile a quanto si è provato a fare in ambito perdite e danni tirando in ballo direttamente la Cina. Senza successo. E hanno provato a presentare gli accordi con Sudafrica e Indonesia per la transizione via dal carbone come un modello vincente, da replicare. Il modello viene citato nella decisione finale, ma il fronte dei paesi in via di sviluppo borbotta perché il grosso dei flussi finanziari, anche in questo caso, consiste in prestiti.

Il vertice sul clima di Sharm vuole una nuova Bretton Woods

Forse l’aspetto più interessante delle decisioni prese in materia di finanza è l’appello a riformare profondamente il sistema finanziario globale per allinearlo alle esigenze di un mondo caratterizzato dalla crisi climatica. Nella decisione finale della Conferenza delle Parti (CP), al punto 40, si legge:

Invita gli azionisti delle banche multilaterali di sviluppo e delle istituzioni finanziarie internazionali a riformare le pratiche e le priorità delle banche multilaterali di sviluppo, ad allineare e scalare i finanziamenti, a garantire un accesso semplificato e a mobilitare i finanziamenti per il clima da varie fonti, e incoraggia le banche multilaterali di sviluppo a definire una nuova visione e un modello operativo adeguato, canali e strumenti che siano idonei ad affrontare adeguatamente l’emergenza climatica globale, compreso l’impiego di una serie completa di strumenti, dalle sovvenzioni alle garanzie e agli strumenti non debitori, tenendo conto degli oneri del debito, e ad affrontare la propensione al rischio, al fine di aumentare in modo sostanziale i finanziamenti per il clima.

È una richiesta che non era mai stata avanzata in questo modo in seno al processo negoziale della COP e ha raccolto consensi trasversali. Si tratta di un’operazione delicatissima perché modifica le istituzioni finanziarie mondiali create durante gli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, le cosiddette istituzioni di Bretton Woods come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Tra i primi promotori c’è Barbados, che a settembre ha lanciato la Bridgetown Initiative, un’iniziativa per “la riforma dell’architettura finanziaria globale” in modo da delineare “il percorso verso un nuovo sistema finanziario che spinga le risorse finanziarie verso l’azione per il clima e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”. Tra i favorevoli, la Francia di Macron.

(lm)

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