La COP28 di Dubai raggiunge un compromesso dopo 24 ore di extra-time
(Rinnovabili.it) – Transizione lontano dai combustibili fossili è la frase per cui sarà ricordato il vertice sul clima COP28. Su questa frase, nelle prime ore del 13 dicembre, i delegati riuniti in plenaria hanno trovato l’accordo per (iniziare a) dire addio a petrolio, gas e carbone. È un buon accordo? La conferenza di Dubai si chiude con 24 ore di ritardo dovute quasi esclusivamente al braccio di ferro sul phase out delle fossili. Il compromesso raggiunto traccia, finalmente, la rotta per ridurre la produzione e l’uso della principale causa del riscaldamento globale. Lo fa, però, lasciando la porta aperta a scappatoie e false soluzioni, con un linguaggio meno deciso e cogente di quello che sarebbe servito.
“Risultato storico” al vertice sul clima COP28?
La presidenza emiratina di turno parla di “risultato storico”, e in effetti è la prima volta nella storia delle COP che una decisione finale riesce a menzionare la necessità di abbandonare i combustibili fossili. Ma come giustamente sottolinea lo stesso Sultan al-Jaber, pochi minuti dopo aver assestato il colpo di martelletto che sancisce la chiusura del vertice, “un accordo è buono solo quando è implementato”. Ed è proprio sull’implementazione che il testo approvato lascia troppa briglia sciolta agli stati. Oltre al fatto che, come ogni decisione presa dal processo delle COP, non ha valore legalmente vincolante.
Per l’Unione Europea il testo è “veramente consequenziale”, commenta il commissario al Clima Wopke Hoekstra, e rappresenta “l’inizio della fine dei combustibili fossili”. Anche per il successore di Frans Timmermans quella di Dubai è una “decisione storica” che “mette in moto una transizione irreversibile e accelerata per abbandonare i combustibili fossili”.
Ben più piccate le parole del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, uno dei più accesi sostenitori della necessità di usare l’espressione “phase out”, cioè eliminazione graduale delle fossili, nel testo finale della COP28. Di phase out alla fine non si parla. E se la transizione, per come è impostata, da Dubai in poi forse sarà davvero irreversibile, quello che preoccupa Guterres sono le tempistiche. “A coloro che si sono opposti a un chiaro riferimento all’eliminazione graduale dei combustibili fossili durante la conferenza sul clima COP28, voglio dire: che ti piaccia o no, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili è inevitabile. Speriamo che non arrivi troppo tardi”.
Cosa ha deciso il patto di Dubai sulle fossili
Vediamo nel dettaglio cosa contiene il patto di Dubai a proposito delle fonti fossili. Il testo di riferimento è il documento sulla Global Stocktake, di cui abbiamo analizzato l’evoluzione delle varie bozze nei giorni scorsi.
Obiettivo 1,5°C
La versione approvata in plenaria non cita l’obiettivo degli 1,5 gradi nel preambolo. Anche se ne parla diffusamente altrove. Menzionarlo all’inizio del documento avrebbe “impostato il tono” delle azioni da mettere in campo in modo più netto, ricollegandole tutte alla necessità di limitare il riscaldamento globale alla soglia più ambiziosa stabilita dall’Accordo di Parigi. Gli 1,5°C non scompaiono, ma restano “depotenziati” dal patto di Dubai. (Secondo le ultime proiezioni su dati ERA5, il 2023 si chiuderà con un global warming di +1,4°C, a un soffio dalla soglia del Paris Agreement).
“Transizione via dai combustibili fossili” al posto del phase out
Il cuore del patto di Dubai si trova al paragrafo 28, nel capitolo sulle misure di mitigazione necessarie per restare allineati a Parigi. L’inizio del paragrafo è più forte di quello proposto nell’ultima bozza: usa verbi più forti (“calls on”, chiede – anche se tra le scelte lessicali possibili quella selezionata è la meno incisiva), fa riferimento agli 1,5°C, e non presenta più i diversi obiettivi elencati nel resto del paragrafo come un elenco tra cui gli stati possono scegliere. Gli stati sono chiamati a “contribuire” agli “sforzi globali” citati nel dettaglio, tenendo in conto il principio delle responsabilità comuni ma differenziate (CBDR).
Il comma da cui è sparito il riferimento al phase out, presente nella prima bozza (ma già cancellato nell’ultima), è il d).
Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science;
L’obiettivo stabilito al vertice sul clima COP28 è una “transizione via dai combustibili fossili nei sistemi energetici”. “Transizione” richiama la necessità di iniziare ad abbandonare le fossili, ma non dice nulla sull’obiettivo finale. Non è né una riduzione (phase down), che implica una quota di fossili, per quanto residuale, anche nel lungo termine, e non è un’eliminazione (phase out), che comporta l’addio definitivo a petrolio, gas e carbone. Significa davvero abbandonare le fossili? Non necessariamente, per lo meno non significa tagliare in modo netto la produzione. Altre parti del patto di Dubai fanno da salvagente all’industria oil&gas, come vedremo più avanti.
Gli aspetti positivi di questo comma, introdotti nell’ultima versione probabilmente per farla digerire ai paesi più ambiziosi, sono il riferimento alla necessità di iniziare immediatamente la transizione ottenendo risultati tangibili entro il 2030 (“accelerando l’azione in questo decennio critico”) e quello al 2050 come orizzonte per l’obiettivo net zero. Non era scontato visto che molti paesi, Cina e India su tutti, hanno fissato il loro target al 2060 o al 2070. Ma quello di cui parla il patto di Dubai è uno sforzo globale, quindi il riferimento al 2050 implica che i paesi più ricchi dovranno accelerare gli sforzi e diventare carbon neutral prima di metà secolo, bilanciando i paesi in via di sviluppo a cui viene lasciato più tempo.
Lunga vita al gas (fossile)!
Che la transizione via dalle fossili decisa al vertice sul clima COP28 non riguardi tutte le fossili e lasci molte scappatoie è chiaro leggendo il resto del paragrafo 28 e il successivo. Il comma e) del par.28 – già presente nelle bozze precedenti – fa esplicito riferimento all’uso di tecnologie per la rimozione e la cattura della CO2 (CDR e CCS). È un lasciapassare per l’industria fossile e i petrostati: non c’è bisogno di ridurre la produzione di fossili, basta ridurre le emissioni fossili. Era anche l’obiettivo numero 1 della presidenza emiratina fin da gennaio scorso.
Ma è con il paragrafo 29 che il patto di Dubai, che sarà venduto come una svolta storica nell’addio alle fossili, cala la maschera. Perché il documento “Recognizes that transitional fuels can play a role in facilitating the energy transition while ensuring energy security”. Cosa sono i transitional fuels, i “combustibili di transizione”, che possono facilitare la transizione via dalle fossili e al contempo garantire la sicurezza energetica?
È la definizione che mezzo mondo, Europa e Italia incluse, dà del gas fossile. Con queste due righe, quindi, Dubai ha fatto rientrare dalla finestra una delle fonti fossili che aveva appena accompagnato alla porta nel comma precedente. Se il gas facilita la transizione, in poche parole, non dev’essere ridotto e, anzi, è lecito aumentare investimenti e infrastrutture collegate.
Gli altri obiettivi citati dal Patto di Dubai
La COP28 di Dubai ha poi stabilito l’obiettivo globale di triplicare la capacità installata globale di rinnovabili e di raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. Ha ribadito la necessità di accelerare sul phase down del carbone, deciso alla COP26, ma ha eliminato il riferimento all’orizzonte 2030: è un passo indietro, e sulla fonte fossile più inquinante. Richiama, ancora, le riduzioni delle emissioni di metano entro questo decennio, restando in linea con la Global Methane Pledge, mentre fa un passo indietro – un altro – sullo stop ai sussidi fossili: da cancellare sono solo quelli inefficienti e solo se non sono utili in chiave povertà energetica o transizione giusta.