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Vertice sul clima: la COP27 ammazzerà gli 1,5°C?

La Cina nuova regista globale della diplomazia climatica e gli Stati Uniti in affanno, i pochi annunci e le promesse ancora meno numerose, i testi negoziali ancora pieni di parentesi quadre e il rischio di cancellare il target degli 1,5°C dalla decisione finale. Un bilancio della prima settimana di COP27

Vertice sul clima: la COP27 ammazzerà gli 1,5°C?
crediti: UNclimatechange via Flickr | CC BY-NC-SA 2.0

I negoziati al vertice sul clima di Sharm procedono molto lentamente

(Rinnovabili.it) – La COP27 entra oggi nella seconda e ultima settimana di negoziati con più punti interrogativi e incertezze di quelli che la circondavano alla vigilia. Di risultati importanti, per ora, non ce n’è traccia. I negoziati procedono a rilento, molto a rilento. E si rimettono in discussione anche i punti più importanti, già fissati nei summit precedenti. A partire dall’obiettivo degli 1,5 gradi. Non un buon biglietto da visita per questo secondo tempo della partita climatica. Tanto che molti osservatori temono che il vertice sul clima di Sharm el-Sheikh possa chiudersi senza passi avanti nei negoziati.

Pochi anche gli annunci alla COP27

La prima settimana di COP26 era stata popolata di annunci settoriali altisonanti. Piattaforme, alleanze, iniziative, tutte in formato multilaterale con obiettivi specifici. Messi insieme – sempre che vengano realizzati – rosicchierebbero qualche decimo di gradi di riscaldamento globale. Non poco visto quanto corre la crisi climatica. La COP27 non ha portato con sé nemmeno molti annunci. C’è un impegno sulle emissioni di metano, che però non va molto oltre la Global Methane Pledge originaria del 2021. È apparso un club di paesi che si impegnano a ridurre le emissioni delle fossili, ma ha poca sostanza.

Sono pochi anche i nuovi impegni arrivati nella prima settimana. Il Messico ha fissato nuovi obiettivi, ben poca cosa rispetto alla promessa di neutralità climatica al 2070 dell’India di 12 mesi fa. L’Ue ha messo a posto tutti i tasselli legislativi per poter alzare i target di riduzione delle emissioni di altri 2 punti percentuali, a -57% entro il 2030. E ben poco altro s’è visto nei giorni scorsi.

Risultati zero anche sul fronte dei diritti umani: la protesta di Alaa Abdelfattah non ha spostato di un millimetro le autorità egiziane. In sciopero della fame dal 2 aprile, negli ultimi 9 anni l’attivista tra i leader del 2011 ha passato più tempo in carcere che fuori. Dall’inizio del vertice sul clima ha iniziato anche lo sciopero della sete per attirare l’attenzione dei media internazionali sulle migliaia di prigionieri politici nelle prigioni egiziane e sulla ferocia repressiva del regime di al-Sisi.

Negoziati [forse] inconcludenti

Il clima nelle sale riunione a Sharm el-Sheikh non è dei migliori. Mentre fuori si rompono i tubi delle fogne e rivoli di liquidi miasmatici inzozzano i vialetti della COP27 (metafora involontaria: di fronte alla crisi climatica siamo tutti sulla stessa barca), nel testo dell’accordo finale fioriscono parentesi quadre anche su punti che dovrebbero essere poco controversi.

Il capitolo sul Santiago Network per i Loss & Damage, nella versione di sabato scorso, aveva ancora più di 70 parentesi, che indicano parti di testo su cui non c’è ancora un accordo tra i delegati. Il programma di lavoro sulla mitigazione ondeggia tra le 250 e le 350 parentesi, con parti già risolte che tornano in forse. I capitoli sulle parti di articolo 6 di Parigi in discussione sono pieni di parentesi quadre e di opzioni, cioè versioni alternative proposte da alcune delegazioni. Carbon Brief ha creato un file dove tiene traccia di tutte le parti del testo finale ancora in forse e il colpo d’occhio complessivo è notevole: l’accordo sembra davvero lontanissimo.

Il vertice sul clima in Egitto ammazzerà gli 1,5 gradi?

Tra gli aspetti più preoccupanti di questa prima settimana di vertice sul clima in Egitto c’è la resistenza di alcuni paesi a rimettere in discussione un punto cruciale come l’obiettivo degli 1,5°C, ormai consolidato dalla diplomazia climatica. La soglia più ambiziosa del Paris agreement sarebbe “scientificamente” impossibile da raggiungere, suggerisce la Cina. Che insieme ad altri paesi preferirebbe calibrare l’azione climatica globale sull’orizzonte dei 2 gradi. Un colpo di spugna sul “tenere gli 1,5 gradi a portata di mano” che era entrato nel testo finale approvato dalla COP26 di Glasgow.

In altri tempi, la possibilità di tornare indietro in modo così plateale sarebbe stata da scartare abbastanza in fretta. Ma questa non è una COP normale, come “normali” (per come le abbiamo conosciute negli ultimi 30 anni) non sono più le relazioni internazionali. L’Italian Climate Network presente a Sharm notava che su alcuni dossier i paesi meno sviluppati e in via di sviluppo si muovono in modo coordinato e che dietro tutto questo ci sarebbe la regia della Cina. Questo dopo che proprio le loro pressioni, nei mesi scorsi, avevano costretto le economie avanzate ad accettare di mettere il tema dei Loss & Damage in agenda. Gli Stati Uniti sembrano piuttosto impotenti e l’Ue non si è ancora tolta i panni del loro junior partner per avere un ruolo dirimente.

Per questo, il destino di questo vertice sul clima sembra dipendere molto dall’incontro tra Biden e Xi oggi al G20 in Indonesia, il primo dopo che il nuovo gelo tra le due superpotenze ha bloccato da qualche mese anche la collaborazione sul clima. E molti osservatori temono che per trovare un terreno comune e far ripartire la macchina della cooperazione climatica, l’obiettivo degli 1,5°C potrebbe diventare la vittima sacrificale.

(lm)