L’Europa e gli USA festeggiano l’accordo di Glasgow, BoJo non è da meno e si appunta sul petto la medaglia: "La COP26 è il momento in cui finalmente l'umanità ha preso sul serio il cambiamento climatico". Esperti ed ex diplomatici avvertono: non è abbastanza, bisogna iniziare subito a lavorare per la COP27.
Si chiude con un giorno di ritardo il 26° vertice sul clima
(Rinnovabili.it) – Del vertice sul clima di Glasgow resterà un’immagine su tutte: il presidente della COP26, Alok Sharma, trattiene le lacrime in plenaria finale. L’India ha appena chiesto di annacquare ancora di più l’accordo nel passaggio sull’addio al carbone, che non sarà più un addio. Sharma con il groppo in gola manda giù le proteste degli altri paesi, dalla Svizzera ad Antigua, chiede di non far saltare tutto il lavoro fatto e tapparsi il naso: “E’ vitale che proteggiamo questo pacchetto”. Per la cronaca, lui l’ha poi giustificato con un aplomb molto british, sminuendo: “Ho dormito 6 ore in 3 giorni”.
Il “phase down” del carbone
Molti hanno letto lo sgambetto dell’India, proprio in dirittura d’arrivo dell’accordo sul clima di Glasgow, come un tentativo disperato di salvare qualcosa – il carbone – che non può più essere salvato. “Hanno cambiato una parola ma non possono cambiare il segnale che arriva da questa COP, che l’era del carbone sta finendo”, commenta la direttrice esecutiva di Greenpeace, Jennifer Morgan.
Giudizio tutto sommato positivo anche da Laurence Tubiana, una degli architetti dell’accordo di Parigi: “Parigi sta funzionando. Nonostante la crisi del COVID-19, abbiamo accelerato l’azione, risposto all’appello degli scienziati di chiudere il divario verso 1,5°C, e il carbone è nel testo. Ma c’è ancora molto da fare”.
La grande incognita, infatti, è quanta nuova ambizione si riuscirà a catalizzare nel corso del prossimo anno per fare alla COP27 quello che non si è riusciti a fare al vertice sul clima di Glasgow. Il delegato indiano, a bocce ferme, ha fatto sapere che il gruppo dei paesi Basic – India, Cina, Brasile e Sudafrica – a questi negoziati ha usato “la massima flessibilità”. Se questo è il massimo, cosa può arrivare di nuovo nel 2022?
Gli occhi al prossimo vertice sul clima a Sharm el-Sheik
Il lavoro inizia ora, dicono in molti. A partire dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che ha ribadito in plenaria che la COP27 inizia nel momento stesso in cui cala il sipario al vertice sul clima di Glasgow.
La prima sfida è sul fronte della mitigazione. “La richiesta di rafforzare gli obiettivi di riduzione del 2030 entro il prossimo anno è un passo importante. I grandi emettitori, specialmente i paesi ricchi, devono ascoltare l’appello e allineare i loro obiettivi per darci la migliore possibilità possibile di mantenere gli 1,5 gradi a portata di mano”, afferma la direttrice esecutivo di Oxfam International, Gabriela Bucher. “Nonostante anni di discussioni, le emissioni continuano ad aumentare e siamo pericolosamente vicini a perdere questa corsa contro il tempo”.
Sulla stessa linea Alden Meyer di E3G: “il vero test del successo di questa COP26”, commenta, lo vedremo nel 2022 alla COP27 in Egitto. Dipende “se un numero sufficiente di paesi aumenterà le proprie ambizioni al 2030 abbastanza da mantenere gli 1,5°C a portata di mano”. “Glasgow avrebbe dovuto portare alla chiusura definitiva del gap verso gli 1,5°C e questo non è successo, ma nel 2022 le nazioni dovranno tornare con obiettivi più forti”, fa eco anche Morgan di Greenpeace.
La finanza climatica divide Nord e Sud del mondo
Il capitolo sulle perdite e i danni ha quasi spaccato i negoziati. L’accordo finale c’è, ma solo perché i paesi più vulnerabili hanno rinunciato a risolvere al vertice sul clima a Glasgow i punti più spinosi. Ma ogni rinvio erode ancora di più la fiducia tra chi è più colpito dall’impatto del climate change (e ha meno responsabilità nelle emissioni storiche) e i paesi ricchi.
Questi temi devono essere al centro del summit del 2022. “Questa COP non è riuscita a fornire assistenza immediata alle persone che soffrono ora. Accolgo con favore il raddoppio dei finanziamenti per l’adattamento, dato che gli impatti climatici sono ogni anno più forti, ma le perdite e i danni devono essere in cima all’agenda della COP27”, afferma Tubiana.
Le soluzioni proposte dai paesi più vulnerabili sono state cassate senza indugi. “I paesi in via di sviluppo, che rappresentano più di 6 miliardi di persone, hanno proposto un meccanismo di finanziamento delle perdite e dei danni per ricostruire le conseguenze di eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico. Non solo i paesi ricchi l’hanno bloccato, ma tutto ciò che avrebbero accettato è un finanziamento limitato per l’assistenza tecnica e un “dialogo”. Questo risultato irrisorio è sordo alla sofferenza di milioni di persone sia ora che in futuro”, continua Bucher di Oxfam.
I responsabili hanno nomi e cognomi e Harjeet Singh di Climate Action Network (una delle ong più attive a Glasgow) li cita uno per uno. “La proposta dei paesi in via di sviluppo di creare un meccanismo per mobilitare e incanalare il denaro verso le persone vulnerabili è stata messa da parte dalle nazioni ricche, in particolare dagli Stati Uniti, dall’Australia, dal Giappone e dall’Unione Europea”.
Un atteggiamento che rende più battagliera Vanessa Nakate, attivista dei Fridays for Future: “la COP27 si sposta in Egitto – e nel Sud del mondo. Non possiamo adattarci alla fame. Non possiamo adattarci all’estinzione. Non possiamo mangiare carbone. Non possiamo bere petrolio. Non ci arrenderemo”.
E molto critico è anche il giudizio sulla finanza climatica di Patricia Espinosa, segretaria esecutiva dell’Unfccc: “Siamo delusi che l’impegno di 100 miliardi di dollari rimanga in sospeso e invito tutti i donatori a renderlo una realtà entro il prossimo anno. La strada dell’azione per il clima non finisce a Glasgow”.
BoJo, UE e USA festeggiano
L’esuberante premier inglese Boris Johnson affida a Twitter un commento al vertice sul clima di Glasgow. “L’accordo di oggi è un grande passo avanti e, punto fondamentale, abbiamo il primo accordo internazionale per eliminare gradualmente il carbone e una tabella di marcia per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi”, afferma BoJo, facendo finta di non sapere che “phase down” il carbone significa ridurlo, non eliminarlo, e che le promesse fatte a Glasgow condannano ancora il pianeta a +2,4°C di global warming.
Per il capo-delegazione del parlamento europeo a Glasgow, Peter Liese, “è un grosso problema che ci sia troppo poca ambizione fino al 2030. Rimane anche problematico che un paese come la Cina non voglia essere CO2-neutrale prima del 2060, che è chiaramente troppo tardi. Dobbiamo agire più velocemente in modo che i nostri figli e nipoti abbiano ancora una possibilità di controllare il cambiamento climatico”.
Ostenta invece ottimismo Frans Timmermans, vice-presidente della Commissione europea con delega al clima: “Mi sento un po’ deluso, ma prima di questo nessuno voleva parlare di un’uscita dal carbone. Ora abbiamo una traiettoria che porta alla fine del carbone. Penso che sia un enorme passo avanti”. E all’inviato a Glasgow di Repubblica confida di dare come voto al summit 9 su 10. Anche per Ursula von der Leyen la COP26 è “un passo nella giusta direzione”.
Per l’inviato per il clima degli USA, John Kerry, l’esito del summit “non è business as usual” e anzi ci sarebbe un “aumento dell’ambizione molto aggressivo”. In conferenza stampa al termine della plenaria dice che gli USA sostengono il dossier su perdite e danni (ma è stata proprio Washington a bloccare i lavori su questo punto, insieme a Bruxelles). E la Cina? Il capo delegazione di Pechino, Xie Zhenhua, ha lasciato l’ultima plenaria quando i giochi erano ormai fatti e ha seguito il resto dei lavori dalla tribuna. (lm)