Tutti i dettagli sull’uscita dalle fossili decisa dal Patto di Dubai
(Rinnovabili.it) – Per chi vede il bicchiere mezzo pieno, la COP28conferma che il multilateralismo può ancora portare a risultati soddisfacenti. E sottolinea alcuni aspetti del Patto di Dubai: per la 1° volta su parla di uscita dalle fossili (tutte, non solo il carbone), si fissa l’orizzonte 2030 per far ingranare la transizione e il 2050 come data per azzerare le emissioni globali, ci sono riferimenti all’allineamento degli sforzi degli stati con la scienza del clima.
Chi vede il bicchiere mezzo vuoto si concentra di più sul linguaggio usato per impostare l’addio alle fossili, molto debole e ambiguo, e sui dettagli mancanti: fissare un obiettivo senza spiegare come bisogna arrivarci non dà molte garanzie.
Entrambe queste letture sono legittime alla luce del testo sulla Global Stocktake approvato alla COP28 di Dubai. Vediamo luci e ombre dell’UAE consensus, il compromesso raggiunto dalla presidenza di turno emiratina il 13 dicembre sul dossier più importante della conferenza sul clima.
La COP28 parla di uscita dalle fossili
Un risultato innegabile del vertice di Dubai è l’aver introdotto, per la prima volta dall’inizio del processo dei negoziati sul clima 30 anni fa, un riferimento esplicito alla necessità di abbandonare tutte le fonti fossili. Il documento “chiede” a tutti i paesi di “contribuire” alla “transizione dai combustibili fossili”.
Fino al 2021, nessuna conferenza sul clima era riuscita a mettere al centro della discussione la principale causa del riscaldamento globale. La COP26 di Glasgow ha messo il primo tassello parlando di riduzione graduale (phase down) del carbone, anche se fino all’ultimo minuto sembrava si potesse trovare un’intesa sull’abbandono (phase out) della fonte più inquinante.
Né phase out né phase down
A Dubai i negoziati si sono incardinati fin dal principio su due opzioni: quella più forte, il phase out, o quella più debole, una semplice riduzione graduale. La differenza non sta nel ritmo della transizione, che potrebbe essere molto simile nei due casi, per lo meno nel breve-medio periodo. Sta, invece, nello stabilire o meno il principio che bisogna trasformare completamente il modello dei sistemi energetici globali.
Ma non è solo una questione di principio. Dire che è necessaria l’uscita dalle fossili significa prevedere tagli alla produzione di petrolio e gas, e non solo alle emissioni che ne derivano. E quindi prospetta un ruolo limitato per tecnologie per la rimozione e la cattura della CO2. L’industria dell’oil&gas, invece, punta proprio su CDR e CCS, di cui intende fare largo uso, per non cambiare il suo modello di business e investire ancora nello sviluppo di nuovi progetti fossili. Ci sono due problemi con questo approccio: queste tecnologie non sono ancora mature e sono meno efficaci del previsto, e gli investimenti nel comparto fossile tolgono risorse allo sviluppo delle rinnovabili e di altre tecnologie pulite.
La COP28 di Dubai ha trovato un compromesso uscendo dall’alternativa linguistica tra phase out e phase down. Una prima opzione considerata era parlare di “sostituzione” delle fossili nei sistemi energetici. La versione approvata, invece, parla di “transizione dalle fossili”.
Cosa significa la “transizione” approvata alla COP28?
Cosa significa, concretamente, “transizione dalle fossili”? Considerando il resto del documento sulla Global Stocktake, il concetto di transizione espresso alla COP28 assomiglia molto più a un phase down che a un phase out. Per molte ragioni.
La principale è che spalanca la porta all’uso di CDR e CCS e non parla, mai, di ridurre la produzione. Il documento cita esplicitamente le “abatement and removal technologies such as carbon capture and utilization and storage” tra le soluzioni su cui puntare per accelerare la transizione. Secondo, limita l’uscita dalle fossili ai soli sistemi energetici, lasciando fuori altri settori industriali in cui le fossili trovano ampio uso. Terzo, blinda il ruolo del gas fossile: anche se non è citato espressamente, il testo “riconosce” il ruolo dei “combustibili di transizione” per facilitare la transizione. Una formulazione volutamente vaga, su cui ha insistito in particolare la Russia.
Come arrivare a emissioni nette zero nel 2050
Come dev’essere strutturato il percorso di transizione? Su questo punto il testo sulla Global Stocktake mescola passi avanti e compromessi al ribasso. È positiva l’inclusione di due target al 2030, triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica. L’intesa finale però ha cancellato il riferimento al picco delle emissioni entro il 2025: se ne parla nel documento come di un tassello fondamentale per non sforare gli 1,5 gradi, ma non compare mai come obiettivo su cui gli stati si impegnano formalmente.
Indebolito anche il passaggio sulle emissioni non-CO2, in particolare il metano. Mentre sul taglio dei sussidi alle fossili si fa addirittura un passo indietro, salvando non solo quelli “efficienti” (ma il testo non dà una definizione guida) ma anche quelli necessari per salvaguardare transizione giusta e contrastare la povertà energetica. Un altro punto scivoloso è il riferimento alla scienza del clima. Dev’essere la stella polare per arrivare a net zero entro metà secolo, dice il documento. Ma questa formulazione contrasta con i risultati dei rapporti dell’IPCC e con le roadmap per net zero più accreditate come quella dell’IEA. Che implicano, invariabilmente, tagli alla produzione di fonti fossili.