Quella che è andata in scena a Dubai, in queste 2 settimane, è l’eliminazione graduale del phase out dal testo negoziale. L’ultima bozza preparata dalla presidenza e fatta circolare nel pomeriggio dell’11 dicembre non parla più di phase out e usa formule estremamente deboli per chiedere azioni contro la crisi climatica. L’analisi punto per punto
(Rinnovabili.it) – Niente phase out delle fossili, solo frasi fumose e vaghe. Nessuna azione richiesta, solo timidi inviti. Nessuna via da seguire, solo una lista di opzioni tra cui scegliere. L’ultima versione del testo sulla Global Stocktake, il documento più importante della conferenza sul clima di Dubai, sembra far tramontare le speranze di ottenere l’uscita dalle fonti fossili.
Il testo è ancora in discussione e potrebbe cambiare nelle prossime ore
Addio phase out?
Le 4 opzioni sul phase out delle fossili che erano in discussione fino a ieri sono sparite. Nessuno dei termini utilizzati è entrato nella versione preparata dalla presidenza emiratina guidata da Sultan al-Jaber, che è anche a capo dell’ADNOC, la compagnia nazionale del petrolio degli Emirati.
Recognize vs urge
Il nuovo testo è introdotto da termini deboli che non aggiungono pressione agli stati per intraprendere determinate azioni, anzi lasciano ampi margini di manovra. Il punto 39 si limita a “riconoscere” il bisogno di riduzioni delle emissioni di gas serra “profonde, rapide e sostenute”. E non va oltre il “richiama” gli stati a mettere in campo azioni “che possono includere, tra le altre” le misure elencate nel prosieguo. Nel linguaggio della diplomazia “riconoscere” (recognize) non ha nessun carattere vincolante. Diverso sarebbe se la presidenza della COP avesse scelto di usare urge, request o invite. Tutti termini che implicano azioni concrete e veicolano l’urgenza e la necessità che le deve accompagnare. L’unico paletto più solido è il “richiama” (calls upon), che però è subito diluito dalla possibilità di scegliere tra varie opzioni. Aprendo alla più completa discrezionalità degli stati.
Un elenco aperto
Tanto più che le opzioni tra cui scegliere includono sia obiettivi già acquisiti, come la riduzione graduale del carbone (che diventa solo quello unabated), e altri che dovevano rappresentare i veri passi avanti della COP28 di Dubai. In linea di principio, qualunque stato potrà dire di aver rispettato l’impegno preso a Dubai semplicemente tagliando il carbone, senza fare altri passi per l’uscita dalle fonti fossili né accelerare sulle rinnovabili.
L’uscita dalle fonti fossili diventa “sostituzione”
Il comma d) del punto 39, nel nuovo testo, incorpora – stravolgendole – le opzioni sul phase out. Parola che scompare: ora si parla solo di “rafforzare gli impegni” per la “sostituzione” dei “combustibili fossili non abbattuti” nei sistemi energetici. Resta l’unabated, per cui si parla solo di tagli alle emissioni e non di riduzione di petrolio e gas. E sostituire non dà informazioni sulla necessità di eliminare (phase out) né tantomeno inquadra meglio il percorso di semplice riduzione (phase down).
Sostituzione è il termine su cui la Cina aveva segnalato, nei giorni scorsi, la sua preferenza. È anche il termine usato nella dichiarazione bilaterale tra Pechino e Washington, poche settimane fa, con cui i due principali inquinatori mondiali avevano riavviato la cooperazione sul clima.
In più, il comma d) specifica alcune strategie possibili per la “sostituzione” basate sull’accelerazione delle tecnologie a zero e basse emissioni, in cui si citano le rinnovabili, ma anche il nucleare, le tecnologie per la rimozione e la cattura della CO2, e l’idrogeno low-carbon (formula che include quello blu, prodotto a partire dalle fossili con sequestro di CO2).
Tagli lato supply
Il comma successivo, l’e), sembra rafforzare un po’ l’architettura dell’addio alle fossili. Chiede agli stati di “ridurre sia il consumo che la produzione di combustibili fossili”, citando per la prima e unica volta tagli lato supply. E specifica che ciò deve avvenire “in modo giusto, ordinato ed equo”. Con l’obiettivo ultimo di raggiungere net zero “entro o attorno al 2050” in modo coerente con la scienza. Ma va ricordato che questo punto non è vincolante: gli stati possono ottemperare ad altri commi dell’elenco, ignorando i tagli alla produzione di fossili, e rispettare formalmente la decisione finale della COP28.
Gli altri punti chiave della Global Stocktake
Nel resto del testo preparato dalla presidenza si nota un generale indebolimento dell’ambizione climatica.
Picco delle emissioni
Sul picco delle emissioni sopravvive la data ultima a livello globale, il 2025. Ma il nuovo punto 29 ricorda soltanto i target globali al 2030 e 2035 (-43% e -60% sui livelli del 2019) senza più chiedere agli stati di dettagliare nei loro piani nazionali la data prevista per il picco e le misure per raggiungerlo.
Rinnovabili ed efficienza
Restano gli obiettivi di triplicare la capacità installata di rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica a livello globale. Resta l’orizzonte temporale, il 2030. Spariscono però gli obiettivi specifici.
Lunga vita al carbone
Anche se il testo richiama la riduzione graduale del carbone, fa un passo indietro rispetto all’acquisito fin dalla COP26. Scompare la data, che era fissata “entro questo decennio”, e scompare la richiesta di azioni immediate.
Metano e sussidi fossili
Sono indeboliti anche gli obiettivi di riduzione delle emissioni di metano. Si parla solo di 2030 ma non si indicano obiettivi specifici per i tagli. Sul fronte dei sussidi fossili il testo riprende quello delle versioni precedenti. Che si limitava a chiedere il prima possibile l’eliminazione dei sussidi alle fossili considerati inefficienti, qualora non beneficino la lotta alla povertà energetica e la transizione giusta.